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di Francesco Sasso
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Giuliano Petrigliano, classe 1991, originario di Policoro, da qualche mese romano d’adozione. Cantautore di formazione, Petrigliano esordisce con “Poesie inutili“.
Una vena d’ironia scorre per tutta la raccolta. E’ un’ironia spiegata in una vasta gamma di toni: ora sottile e segreta, al punto che le sue liriche sembrano carezze; ora scoperta nel franco riso canzonatorio; ora contratta e illividita nell’indignazione e nel sarcasmo. È un’ironia morale, raramente compiaciuta, di sé. Unico appunto: troppe poesie, alcune realmente inutili.
Per quel po’ che la conosco, posso dire…
che lei è di vetro
e non ha paura di avere paura
sa di potersi frantumare
da un momento all’altro
ma questo non la spaventa
al contrario
lo considera il corso naturale
degli eventi
e allora si guarda intorno
curiosa
e rimane in attesa
di quel momento
in cui finirà in mille pezzi
per vedere che cosa si prova.
***
409
In piedi
attaccato a una maniglia
sul 409
stretto fra altri corpi
di altra gente
quasi come me
nel traffico delle due del pomeriggio
di via di Portonaccio
tutto un fermarsi e ripartire
mezz’ora per fare mezzo chilometro
una lunga, lenta e noiosa parentesi
se non fosse per un matto
al centro dell’autobus
che parla ad alta voce
di quando stava in Sudamerica
e aveva una donna stupenda
tutti lo guardano e si scambiano sorrisi
come a dire “questo è fuori”
e il matto sceglie come suo interlocutore
un ragazzo pettinato bene
gli parla
guardandolo dritto negli occhi
ma sa di parlare a tutti
e quando il 409
si ferma nel traffico
di via di Portonaccio
e non accenna a ripartire
il matto urla “autista!
che hai deciso? ci porti o no
alla stazione?”
e tutti ridono
mentre lui riprende a parlare
col ragazzo pettinato
chiedendogli
“secondo te
quanti sono i potenti
nel mondo?”
e il ragazzo visibilmente imbarazzato
alza le spalle
e il matto dice
“te lo dico io: sono il due-tre per cento,
capisci?
il due-tre per cento
di tutta la popolazione mondiale!
autista!
portaci alla stazione!”
e di nuovo tutti ridono
perfino il ragazzo pettinato sorride
anche se in realtà è seccato
per non aver saputo rispondere
alla domanda sui potenti
e il 409 si ferma e riparte
e si ferma ancora
ma il matto no, non si ferma
è un fiume in piena
adesso sta già parlando di qualcos’altro
qualcosa che non ho capito
perché mi sono distratto un attimo
a guardare i denti
di una ragazza con gli occhiali da sole
mentre rideva a una battuta del matto
una dentatura molto regolare
molto bella
e la sto guardando da qualche secondo
quando il matto
mi riporta alla realtà urlando
“autista! se proprio non sei capace
fatti da parte!
vuoi che guidi io?”
***
Rom a Roma
Quelle monete non bastano
dentro al supermercato
dovranno togliere qualcosa dalla busta.
Per la precisione mancano tre euro
per cui dovranno togliere l’equivalente
di tre euro di spesa
– che detto tra di noi
è un po’ come fargli uno sconto
di dignità.
Pagano in monete da dieci centesimi,
monete che qualcuno gli ha regalato
davanti a quello stesso supermercato.
Quindi entrano
e ci provano,
ce la mettono tutta
a fare la spesa come chiunque.
E la loro faccia la dice lunga.
È la faccia di chi
dalla propria vita
deve sempre togliere tre euro.
***
Una buona giornata
L’altro giorno ho giocato la schedina
e non ho vinto.
Non avevo mai giocato prima
ma sono abituato a non vincere
quindi non mi sono neanche incazzato.
Sono tornato a casa
e dovevo dar da mangiare al pesce rosso
ma era morto.
Galleggiava.
Volevo darlo in pasto al gatto
ma non lo vedevo in giro.
Poi verso sera l’ho rivisto.
In giardino.
Morto.
Quella mattina ero andato a un colloquio di lavoro.
Ero uscito di casa
e avevo trovato la macchina senza ruote.
Me le avevano fregate.
Allora avevo preso l’autobus
dove mi fregarono anche il portafogli.
Il controllore mi multò perché ero senza biglietto.
O meglio, ce l’avevo.
Ma era nel portafogli.
Accanto a me c’era un signore con un’ascella
fragranza cadavere in decomposizione.
Una vecchietta mi fece la mano morta
ma quando si accorse che la cosa
non mi aveva eccitato particolarmente
iniziò a urlare accusandomi di molestie.
Bastarda.
Scesi dall’autobus.
Alla fermata sbagliata.
Feci due chilometri a piedi.
Pestai una merda
che per fortuna era secca.
Venti metri dopo ne pestai un’altra
che non era secca.
Arrivai al colloquio in ritardo.
La segretaria inizialmente mi sorrise.
Poi quando notò che avevo ancora un po’ di merda sotto la
scarpa
provò un forte disgusto verso di me e la mia famiglia.
Feci il colloquio
ed ero nervoso.
Per la tensione ho anche ruttato.
Due volte.
Vabbè, tre volte.
Alla fine volevo salutare l’esaminatore
ma nel porgergli la mano
urtai un prezioso fermacarte di cristallo
che era sulla scrivania
il quale finì per terra
disintegrandosi.
Uscii dall’ufficio
accompagnato da un ultimo sguardo schifato della
segretaria.
Presi l’autobus.
C’era lo stesso controllore dell’andata.
Ma io il portafogli non l’avevo mica ritrovato.
Altra multa.
Arrivai sotto casa.
Per qualche strano motivo
mi avevano riportato le ruote della macchina.
Però s’erano presi la macchina.
Qualcosa in giardino puzzava.
Era il gatto.
Entrai in casa
e mi sedetti sul divano
ripensando al colloquio.
Ma sì dài, chissenefrega,
tanto quel lavoro faceva schifo.
Infatti poi mi telefonarono
dicendomi che ero
un candidato perfetto.
Insomma
fu una buona giornata.
Al di sopra della media delle mie giornate.
f.s.
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