Il governo Renzi dovrebbe pretendere la verità sulla morte di Giulio Regeni. Senza accontentarsi degli evidenti depistaggi delle autorità egiziane (Fonte: Luigi Vicinanza - l'Espresso)
Ricapitoliamo. Un giovane di 28 anni, ricercatore presso un'università inglese, torturato in modo orrendo e poi ucciso. Il corpo fatto ritrovare, dopo giorni di mistero, in simbolica coincidenza con la visita del nostro ministro Federica Guidi, titolare dello sviluppo economico, accompagnata in Egitto da una delegazione di investitori e imprenditori italiani. Se i messaggi criptici mediorientali hanno un senso, l'Italia è stata dunque sfidata due volte. La prima con il sequestro e l'uccisione di Giulio. La seconda con la restituzione del cadavere in occasione di un evento bilaterale ufficiale. L'intelligence italiana sta provando a ricostruire il significato di questa barbarie. Ma finora sia gli investigatori inviati sul campo al Cairo sia la diplomazia all'opera a Roma hanno evitato di dire ciò che appare evidente a un osservatore distaccato: c'è la mano del regime nell'omicidio.
Il generale-presidente Abdel Fattah al Sisi è il frutto avvelenato di una primavera araba precocemente sfiorita. Non c'è democrazia in Egitto, come mai c'è stata; il dissenso è represso con ferocia; la nazione ha una consapevolezza di sé come poche altre nell'area. La realpolitik dunque spinge l'Occidente a sostenere al Sisi per un cinico calcolo geopolitico. È spietato come i tanti raìs del Medio Oriente, ma si è collocato dalla parte conveniente della barricata. Così in una guerra mondiale non dichiarata, combattuta pezzo per pezzo, i confini del bene e del male si dilatano pericolosamente in direzione di quest'ultima opzione. Nell'imbarazzo dei governi democratici. Italia in testa.
«GIULIO È STATO UCCISO in circostanze ancora da chiarire», ha dichiarato il nostro premier. «Non ci accontentiamo di ricostruzioni facili o di verità di comodo», ha ribadito il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni. Su questioni meno rilevanti Renzi ha mostrato maggior coraggio. Stavolta no. Il minimo indispensabile per rassicurare l'opinione interna e non collidere con la posizione ufficiale dell'Egitto secondo cui Regeni non è mai stato arrestato dai propri apparati di sicurezza. Defilata anche l'Unione europea che pure guarda alla vicina Libia come area di interesse strategico, mentre si avvicina l'intervento per impedire il radicamento e l'espansione delle bande assassine del Califfo. Ma senza il consenso e il sostegno dell'Egitto è impensabile un'operazione militare sul suolo libico.
L'ORGOGLIO NAZIONALE e i princìpi europei passano in secondo piano. Il regime egiziano è intoccabile, forte del suo esercito e del fiume di dollari, oltre un miliardo all'anno, versato dagli Stati Uniti per tenerlo all'erta. Dal Cairo filtrano ricostruzioni interessate. Per nulla attendibili. Se nei primissimi giorni si è tentato di derubricare - senza successo, per fortuna - la morte di Regeni a un caso criminale, si è poi spostato il tiro sullo spionaggio. Ecco dunque lo studente modello, il ricercatore appassionato, l'acuto analista trasformarsi in uno 007 a sua insaputa. Con la famiglia, distrutta dal dolore, costretta a ribadire una verità calpestata: nostro figlio non era una spia. Dicono infatti che le sue informazioni sulla dissidenza e sui sindacati trasmesse all'università di Cambridge, dove stava completando il dottorato, sono state "vendute" per scopi oscuri. Dicono tante cose dal Cairo, ma è evidente che si preferisce sopire anziché sapere. Le spie non si uccidono; si scambiano. Ma questo non è il film di Spielberg. Siamo in Egitto, buon alleato dell'Italia. Dove uno studente ha provato a documentare in modo scientifico la repressione del dissenso e delle lotte operaie. Per questo torturato a morte. E ucciso una seconda volta dal silenzio di Stato.
Ringraziamo Luigi Vicinanza, e gli diamo il benvenut - cattivoni - non sono disposti a pensare che tutto cò che faccia Renzi sia di insuperabile intelligenza politica. A volte anche I Migliori sbagliano...
Tafanus