di Augusto Benemeglio
Giuseppe Castiglione era nato nel 1804 nella casa materna, tra le colline odorose di timo di Sannicola, allora frazione Gallipoli. Ricordò sempre quelle campagne natie, con l’occhio che spaziava per chilometri e chilometri sulle distese di maestosi olivi, il percorso delle antiche edicole votive, le vecchie cisterne che raccoglievano la preziosissima acqua piovana, i vitigni, il frumento dei campi.
“Non nominare le cose, indovina le cose, suggerisci le cose, ecco la cosa segreta, ecco il sogno, la poesia”, ma era da sempre vissuto a Gallipoli e non volle mai staccarsene “come l’ostrica dallo scoglio” per tutta la sua tribolata esistenza, nonostante avesse coltivato ambizioni e sogni di gloria letteraria, soprattutto dopo la sua iscrizione d’ufficio, per alti meriti letterari, all’Arcadia, e la nomina a corrispondete dell’Istituto di Francia. Erano solo voli pindarici, sogni che gli avevano fatto sperare che un giorno avrebbe potuto emulare (e magari superare) le gesta del suo concittadino Pasquale Cataldi, grande poeta improvvisatore, considerato un aedo sublime in tutte le corti europee, da Napoli na Vienna, da Parigi a Mosca, città che Castiglione potè vedere solo sui libri di storia e geografia.
Ormai aveva fatto la sua scelta totalizzante, si sarebbe dedicato solo alla storia favolosa della sua amata città, che infatti sarà fonte di ispirazione di tutti i suoi vari scritti, dalla biografia del prozio Filippo Briganti, alle prose “Il ponte di Gallipoli”, “Un naufragio a Gallipoli”, fino all’ultimo suo romanzo, “La Cingallegra”, in cui sono molti elementi autobiografici, per giungere alla monografia “Gallipoli” che, ristampata nel 1985 per i “Quaderni” di “Nuovi Orientamenti”, volle donarmi il compianto giudice Michele Paone, che ne aveva curato l’introduzione, con questa dedica: “Ad Augusto Benemeglio, con augurio e cordiale ricambio” (gli avevo donato l’anno prima una copia del mio “L’ isola e il Leone”, che rievoca in modo surreale le vicende dell’assedio veneziano a Gallipoli).
Bene, in questo libro, che è una sorta di bozzetto-guida-mini enciclopedia storico-geografica e antropologica di Gallipoli, scritto nel 1856, Giuseppe Castiglione rivela senza infingimenti (ed è un gran merito, tenuto conto che l’opera storica gli fu commissionata dal Comune) il suo rapporto vero con Gallipoli e i gallipolini. “Il bozzetto – scrive Paone nell’introduzione – fu pensato e composto da chi della città conosceva tutti i segreti delle virtù, i guasti, le corruttele, di chi sapeva le voci e i volti dei concittadini, i suoi malesseri, i suoi ritardi, le sue miserie, le sue speranze”.
E’ lo scritto di uno che ama molto la sua città, ma con “rabbioso amore, con il risentimento di un poeta che aveva finito per identificare la sua vita in quella della sua città e l’osmosi di questo rapporto lo esaltava e lo avviliva al tempo stesso”. E la cosa straordinaria è che molte cose riferite alla Gallipoli di centocinquanta e più anni fa sono ancora in certi casi dolorosamente attuali.
Prendiamo, ad esempio, il capitoletto sui bambini assai trascurati dai loro genitori:
Esseri infelicissimi, abbandonati dai genitori, che li lasciano razzolare per le strade tutto il giorno con risultati assai dannosi, non ultimo il poco rispetto che questi sogliono avere per i genitori.
O sul carattere dei gallipolini, che, se da un lato sono molto versati nella poesia, nel teatro e nella musica
Sono tutti poeti. Qualsiasi cosa avvenga che colpisca l’immaginazione, eccoti una canzone naturalmente bella…Amantissimi del teatro, di qualunque condizione o istruzione sieno, rappresentano perfettamente qualsivoglia farsa o dramma; ardentissimo è il genio per la musica, che in ogni età si è coltivata con vera passione
dall’altro essi sono imprevidenti, vanesi, dissipatori come cicale
Sono spensierati, cattivi massai; l’avvenire non ha giammai turbato i loro sonni. I travagliatori quindi sprecano in un giorno il guadagno di una settimana. I ricchi commercianti sciupano tutto nel lusso fine a se stesso, per vanteria; i poveri nelle gozzoviglie da taverna…Appena isterilisce il commercio e manca il lavoro, ecco la miseria con l’orrendo codazzo di cento mali opprimere quei lavoratori che non seppero serbare una briciola del pane che sovrabbondantemente mangiarono.
E poi si parla del rapporto, inesistente, tra i gallipolini (uomini di mare) e la terra:
Gallipoli non ha agricoltori. Niuno dei suoi abitanti sa versare una stilla di sudore sulla terra per chiedere il compenso di un pane
e della piaga dell’usura:
scaturigine di ogni miseria … vero flagello per gli sventurati che, tratti da imperiosa necessità, qualunque condizione accettano per aver denaro…questo vampirismo esiziale che si nutre del sangue dei poveri e riduce in miseria le classi operaie assorbendo ogni loro guadagno.
Castiglione parla anche dell’attaccamento viscerale che i gallipolini hanno per la loro piccola patria che
amano d’amore infinito, da cui, se per circostanze imperiose talvolta si allontanano, restano vittime della nostalgia
e della loro religiosità, che ha sempre qualcosa di superstizioso, barocco, teatraleggiante e pagano:
Il popolo gallipolino è sempre intento a compiere i suoi religiosi doveri; solo non è commendevole qualche usanza che sa alcun poco di superstizione. Continue sono le festività religiose che vengono celebrate con ogni sontuosità. Nelle processioni fanciullette di tenera età, vestite con peripli. cantano le laudi. Belle come angioletti, ricche di chiome che in folte ciocche scendono sugli omeri, redimite dai fiori, dotate di voce armoniosissima, colla melodia dei loro canti t’infondono nel cuore una misteriosa dolcezza, che al pianto t’invita
… delle congregazioni religiose che gareggiano tra loro:
nel tributare a Dio col culto esterno, nel frequentare i rispettivi oratori e nell’addobbare le chiese col lusso maggiore che possono …e non sai se sia maggiore lo zelo, o la munificenza nell’adornare la loro chiesa di preziosi suppellettili e nel celebrare le feste sontuosissime.
… dei pregiudizi dei suoi concittadini:
Si crede alle streghe e alle malie: per salvare i fanciulli da malefici influssi de’ malocchi si caricano di cento cianfrusaglie, e di cornetti di corallo.
E, infine, con sorprendente attualità, si sofferma sulla carenza di insegnanti degni di questo nome (sic!) e sule fosche prospettive per i giovani di quel tempo (doppio sic!!):
Gallipoli avrebbe meritato in altra età il nome di Atene della provincia, ma ora l’istruzione manca, e la gioventù non così facilmente trova una guida che la conduca sicura a traverso le spine e i mali triboli che ingombrano il sentiero de’ buoni studi. Dove sono i precettori? La gioventù fruga e rovista invano per
rinvenirli, e desolata nell’inutile ricerca, resta per lo più abbandonata ad una fatale ignoranza.
E su quest’ultime condivise parole chiudiamo il nostro glossarietto di Giuseppe Castiglione, sulla sua città odiosamata, Gallipoli, che è stata il suo tutto, inferno e paradiso.
Gallipoli è un pamphlet modernissimo, sembra che sia stato scritto ieri, e non centocinquantadue anni fa, ma evidentemente un vero scrittore riesce sempre ad essere attuale, anche quando scrive la cronaca del suo tempo. E poi chi l’avrebbe mai detto – ironia della sorte – che uno scioperato bohémien, un artista sfaticato come Giuseppe Castiglione dovesse essere ricuperato anche come moralista?