Giuseppe Conti, Firenze – Rificolone

Da Paolorossi

Il dì 8 settembre, giorno dedicato alla Natività della Madonna, si solennizzavano in molte chiese a Firenze grandi feste in memoria della liberazione di Vienna dall' assedio dei Turchi, avvenuto appunto in quel giorno del 1683. A San Pier Maggiore, anche prima di quell' epoca, si faceva festa solenne. [...]

La festa della Natività di Maria si celebrava molto pomposamente nella chiesa della Santissima Annunziata, essendo fervida fin dai remoti tempi, la devozione dei fiorentini per l'immagine che in essa si venera. Si può dire anzi, che la festa incominciasse dalla vigilia, poiché i montanari della Toscana eran usi di venire in tal giorno a Firenze a vendere i filati e i funghi secchi. Il loro scopo apparente era di fare una specie di pellegrinaggio alla Santissima Annunziata, ma quello vero e reale era di vendere la mercanzia che portavano.

In cotesta occasione Firenze era, si può dire, addirittura invasa da torme di montanari e di montanare zotiche e dure, che colle gonnelle corte, coi fianchi larghi e con certe vite, Dio l'abbia in gloria, larghe e tonde più d'un metro, camminavano pian piano per la città, col naso per aria, smelensite, rintontite dal frastuono, dalla vista di quei palazzoni tutti di pietra, che parevan cave, dalle torri, dalle chiese e più che altro dal lusso delle dame e dalle carrozze dorate. Tutta quella folla era oggetto di curiosità e di riso per la stranezza delle fogge e per la ruvidità dei panni che vestivano.

Ma il maggior divertimento cominciava la sera. I contadini e le montagnole passavano la nottata nella chiesa, nei chiostri dell' Annunziata e fuori sotto i loggiati, perchè non trovavano altro posto dove rifugiarsi. Naturalmente mangiavano e.... non si ardisce di pensare ad altro ; soltanto la mattina non c'era bisogno d' annaffiare né la chiesa né i chiostri ! La scusa della religione copriva ogni bisogno. E meno male per quelli che erano in chiesa; lì non osavano i giovani allegri d'andare a far gazzarra; il peggio era per i rifugiati nei chiostri e sotto il loggiato.

Tanto quelli in chiesa, che quelli fuori, finché non veniva loro sonno, cantavano inni alla Madonna ed altre preci ; ma per le voci discordanti, per le cadenze e le cantilene noiose di tanta gente, invece di un atto di devozione pareva una cosa burlesca, fatta per chiasso. Per conseguenza, i fiorentini, la sera del 7 settembre si recavano in folla all'Annunziata a godere dello spettacolo, e farvi le più matte ed allegre risate.

Molti giovani si mescolavano fra i contadini urlando anch'essi e ripetendo ad alta voce gli spropositi che quelli dicevano. E di lì epigrammi e facezie senza ritegno, e un baccano come di carnevale. Per martorizzare maggiormente que' disgraziati, i giovani più insolenti portavano certi fischi di coccio che mandavano un sibilo così acuto da far assordire; e come se quei montagnoli fossero stati tante statue, gli fischiavano a tutto spiano negli orecchi, senza pietà né misericordia. E dire che anche loro ci ridevano !...

La scena però non mancava di un effetto singolarmente fantastico e pittoresco. Siccome tutto quel diavoleto si faceva di notte, in quella circostanza s' inventarono le fierucolone - da fiera - e che poi il popolo disse rificolone.

Specialmente in Piazza dell' Annunziata ed in Via de'Servi ve n'erano delle migliaia; e formarono una vista bellissima, perchè anche dalle finestre delle case, nelle prime ore della sera fino a notte inoltrata, si tenevano fuori le rificolone.

Non erano tutte della foggia di quelle che si usano oggi; molte, anzi le più, eran grandi fantocci di carta, rappresentanti le caricature delle montanine, col lume sotto la sottana; e ogni volta che passava un branco di giovanotti, coi fischi, colle rificolone di queste contadine e con centinaia di quelle a lampanino, era una baldoria e un fracasso da far la testa come un cestone.

E con le rificolone invadevano anche i chiostri della chiesa, urtando senza riguardo uomini e donne, che per la stanchezza del lungo cammino fatto in più giorni e a piedi, eran cascati giù mezzi morti dal sonno. Anzi, pareva che quegli scapestrati glielo lo facessero per dispetto, ed andassero a cercarli apposta, per sbalordirli ed inebetirli dai fischi e dagli urli.

Se quei poveri montanari non si acquistavano il paradiso cogl' inni e colle preghiere, se lo acquistavan dicerto coi martiri e coi dispetti che facevan loro soffrire.

Non ne son certo, ma ritengo positivamente che quando eran venuti a Firenze una volta, per 1′ 8 di settembre, la seconda non ci tornavan davvero!

Dopo la storia, facciamo la cronaca più moderna. Era costume nella popolazione di portarsi la vigilia della Madonna di Settembre, in via dei Servi e sulla Piazza della Santissima Annunziata, con dei fanali di foglio in colori infilati in tante canne, urlando in modo da levare di cervello:
" L' e più bella la mia di quella della zia! "

questo lo dicevano i bambini: i più grandi portavano dei corbelli infilati in una pertica con un lume dentro, vociando :
" Bello, bello, chi lo guarda gli è un corbello ! "
e dietro a questo, una folla con le campane di terracotta, a scampanare e a schiamazzare.

Altri andavano coi fischi di coccio e si univano a quelli col campanaccio per accrescere il frastuono. Per colmo d' allegria poi, principiavano a tirare buccie di cocomero, patate, e quanto veniva loro alle mani contro le rificolone perchè si incendiassero, e così finiva la festa.

Ma quest'uso così molesto, il quale durava fino a mezzanotte, era causa di molte liti e di risse ; perchè alcuni andavano a sonare i campanacci e a fischiare negli orecchi alle persone che si trovavano nella strada, le quali spesso si stizzivano e leticavano come se le avessero ammazzate.

Uno di quegli anni venne funestato per causa di quest' uso sbarazzino, da un delitto di sangue, che contristò tutta la città, che allora non c'era avvezza. Uno studente si mise a fischiare apposta nell'orecchio a uno dei cavalli di una carrozza che era ferma presso il palazzo Niccolini ora Bouturlin, in Via dei Servi, aspettando i padroni i quali erano a godere lo spettacolo delle rificolone dalle finestre. Il cavallo con quei fischi acuti nell'orecchio si spaventò, fece impennare anche l'altro; ed il cocchiere, tutt' arrabbiato, ammenò una frustata allo studente. Questi che potè sapere dove stavano di casa quei signori, andò ad aspettare che vi tornassero, e a tradimento con un colpo di stile uccise il cocchiere. Così finì tristamente quella baldoria, che tutti deploravano.

A poco a poco però, ingentiliti i costumi e rinfurbiti i contadini, che eran sempre i martiri sbeffati e molestati ogniqualvolta venivano a Firenze, anche le rificolone andarono quasi a finire. Infatti, oggi di questa usanza non è rimasto che un pallido ricordo : la sera del 7 di settembre sull' imbrunire, nelle strade più povere della città, si vede qualche raminga rificolona che un bambino tenuto in collo dalla mamma, dimena e scote come una frusta, dandole fuoco presto. Oppure a qualche finestra un'altra vagabonda rificolona s'affaccia paurosa di trovarsi sola, mentre il ragazzo che la espone balbetta a malapena:
"L' e più bella la mia!..."

( Giuseppe Conti, tratto da "Firenze vecchia - Storia, cronaca anedottica, costumi (1799-1859)" , 1899 )

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