Tra le varie manifestazioni organizzate a Busseto per il bicentenario della nascita del maestro, Ambrogio Ponzi mi fa sapere che ieri si è svolto un convegno, organizzato dalla Curia, presente il vescovo Carlo Mazza, incentrato sulla relegiosità del Maestro.
In realtà Verdi era anticlericale e massone, dichiarato, anche attraverso le sue opere.
Ad esempio i destinatari della maledizione di Amneris in «Aida» («Empia razza! Anatema! Su voi la vendetta del ciel scenderà») erano sì i sacerdoti egizi, ma il vero bersaglio era certo meno… esotico. Verdi tuttavia, nel suo intimo, nutriva rispetto per la fede privata, per la spontaneità del credente o del sacerdote missionario ed aveva anche una sua religiosità che fu il sostrato di due capolavori nell’ambito della musica sacra, il «Requiem» e i «Quattro pezzi sacri».
Giuseppina Strepponi, seconda moglie di Verdi, cercò di spiegare questa religiosità a
Cesare Vigna, nel 1872: «… è una perla d’onest’uomo, capisce e sente ogni delicato, ed elevato sentimento, con tutto ciò questo brigante si permette d’essere, non dirò ateo, ma certo poco credente, e ciò con una ostinazione ed un calma da bastonarlo. Io ho un bel parlargli delle meraviglie del cielo, della terra, del mare, ecc. ecc. Mi ride in faccia e mi gela in mezzo del mio entusiasmo tutto divino col dirmi: siete matti! e fortunatamente lo dice in buona fede».
Ancora più interessante questo brano tratta da una lettera alla contessa Clarina Maffei, scritta lo stesso anno: «Verdi s’occupa della sua grotta [frigorifero], del suo giardino. Sta
benissimo ed è di umore lietissimo. Felice lui, e Dio lo faccia felice per lunghissimi anni. Vi sono delle nature virtuosissime che hanno bisogno di credere in Dio: altre, ugualmente perfette, che sono felici, non credendo a niente ed osservando solo rigorosamente ogni precetto di severa moralítà».
(cp)
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