C’è chi sostiene che un buon romanzo si riconosca dalla capacità di rapire il lettore, di coinvolgerlo fino a farlo immedesimare nel protagonista, o quantomeno a farlo parteggiare per lui. Nel caso de La Prima Donna (Morellini Editore), romanzo d’esordio della biscegliese Giustina Porcelli, l’impresa non risulta semplice perché il protagonista è al tempo stesso la protagonista. Sì, avete capito bene: è un lui che diventa lei, un uomo che si trasforma in donna grazie a un’operazione di riassegnazione chirurgica del sesso. Scelta coraggiosa, non c’è che dire. Debuttare con una storia incentrata su una questione così delicata, e per giunta ispirata all’esperienza realmente vissuta da un’amica, non è da tutti. Specie in un paese come l’Italia, dove determinati argomenti non trovano terreno fertile per un confronto aperto. Il rischio è quello di scontrarsi con un retaggio culturale (religioso in particolare) che tende a considerare tabù gli aspetti meno convenzionali della sessualità umana, preferendo stendervi sopra un velo di indifferenza. Giustina accetta questo rischio a testa alta, facendone quasi una sfida personale. “Il mio libro – tiene a precisare – non è indirizzato alla comunità gay e trans, né tantomeno agli ambienti politici di sinistra, come qualcuno potrebbe pensare. È invece rivolto a tutti, compresi coloro che ignorano, o preferiscono ignorare, le scottanti tematiche in esso affrontate. Mi rendo conto che certe tematiche possano spaventare molte persone, e la tiepida accoglienza ricevuta dal romanzo ne è la prova, ma non rinnego la mia scelta. Sono anzi orgogliosa di aver raccontato una storia a tinte forti. Almeno ho evitato argomenti banali, ormai triti e ritriti, che a mio parere allontanano ancor più la gente dalla lettura.” Se l’intento era stupire, l’autrice ci è riuscita benissimo. La sua creatura letteraria, infatti, colpisce fin dalla copertina, dove campeggia la foto di un corpo femminile sdraiato a pancia in giù e con un uovo fritto poggiato sulla schiena. Ecco la spiegazione: “È un’immagine in grado di prestarsi a molteplici interpretazioni. L’ho scelta perché l’uovo a occhio di bue è un simbolo che ricorre più volte nel corso della narrazione. E poi l’espressione “occhio di bue” indica il faro della ribalta, in questo caso puntato sul personaggio principale, che è una donna a cui piace occupare il centro della scena. Di qui, inoltre, il gioco di parole nascosto nel titolo: primadonna, tutto attaccato, è un termine che designa appunto chi ama stare sotto i riflettori”. Audace la copertina, audace ciò che segue. A metà strada tra dramma e commedia, La Prima Donna narra il complesso iter psicologico di Gabriele, Lele, Gabrielle e Gabry, quattro anime racchiuse in un unico corpo. Solo che il corpo, in origine, è quello sbagliato; è quello di un uomo che non si sente tale e che, passando per numerosi cambiamenti, finisce col trovare nel corpo di una donna la propria realizzazione, la casa della quale sentirsi padrone, non ospite. La vicenda è ambientata in diverse località del Mezzogiorno, tra cui Bisceglie, che tuttavia Giustina non nomina mai (al pari delle altre), svelandone l’identità soltanto attraverso lo pseudonimo “Città dei Pazzi” e il frequente ricorso al nostro dialetto. Lo stesso dialetto che funge quasi da colonna sonora del romanzo, contribuendo a plasmare uno stile anch’esso originale, fatto di continui rimbalzi tra presente e passato, tra realtà e sogno; senza dimenticare i dialoghi onirici tra la protagonista e alcuni personaggi venuti a trovarla dal mondo della fantasia. Insomma, un libro emozionante. Per chi lo legge, ovvio, ma pure per chi lo ha scritto, che infatti conferma: “Sì, questo libro mi ha emozionato e mi è costato fatica, tanta fatica. Basti pensare che ci ho lavorato per tre anni e che alla versione definitiva sono approdata dopo ben sette stesure. Se saprò trasmettere ai lettori la metà delle emozioni che ho provato mentre lo scrivevo, potrò ritenermi soddisfatta”. Rimanendo in tema di emozioni, merita un cenno il brivido provocato dalla recente partecipazione al talk show Matrix su Canale 5. Giustina Porcelli ne è stata ospite durante la puntata speciale per i vent’anni in Italia della soap Beautiful, andata in onda il 4 giugno scorso. Come mai? Semplice, il suo primo libro si intitola "101 Motivi per non smettere di guardare Beautiful" (Morellini Editore) e non è sfuggito alla redazione del noto programma tv, che ha contattato la scrittrice in qualità di esperta. Una chiamata che lei ricorda così: “All’inizio avevo pensato di non andare per timore di essere etichettata come “quella di Beautiful”. Poi, però, ho capito che l’apparizione televisiva (tra l’altro non è la prima, ndr) sarebbe stata un buon mezzo di propaganda per il libro e ho accettato l’invito”. Negli studi romani di Mediaset ha conosciuto il conduttore Alessio Vinci, ma soprattutto ha conosciuto e dialogato con quattro degli attori che interpretano il longevo sceneggiato. Sensazioni? “È stata un’esperienza per certi versi surreale: l’autista in Mercedes nera all’aeroporto, le truccatrici che intervenivano a ogni pausa pubblicitaria, essere seduta sulla famosa poltrona bianca accanto ai mitici Eric, Brandon, Steffy, il primo Thorne… Davvero divertente. Mi sono subito innamorata di John McCook, alias Eric Forrester, che è nel cast fin dal principio e ormai rappresenta un autentico pigmalione. Ma anche gli altri attori sono persone gentili e alla mano”. Una Giustina sempre più in rampa di lancio, dunque. A noi non resta che aspettarla nella Città dei Pazzi, dove tornerà presto – vive da molti anni a Milano – per le meritate vacanze e magari per una presentazione “casalinga” de La Prima Donna.
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