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Giustiziato Osama Bin Laden. In America è festa: tarantella a Wall Street, valzer a Ground Zero, tip tap a Hollywood

Creato il 02 maggio 2011 da Massimoconsorti @massimoconsorti
Giustiziato Osama Bin Laden. In America è festa: tarantella a Wall Street, valzer a Ground Zero, tip tap a Hollywood Alla fine ce l’hanno fatta. Dopo 3519 giorni dalla distruzione delle Torri Gemelle, e milioni di dollari spesi per catturarlo, il nemico pubblico numero uno degli Stati Uniti è stato giustiziato con un colpo di pistola alla testa durante un attacco dei Navy Seals a stelle e strisce in Pakistan. L’incubo (che si era trasformato in psicosi) degli americani è finito anche se, quando muore un personaggio di siffatta levatura, dotato di un carisma strabordante come quello del leader della Jihad, bisogna sempre aspettarsi reazioni, e in questo caso è facile prevedere di che tipo. Barack Obama lo ha annunciato al suo popolo in piena notte. “L’operazione – ha detto il presidente – è durata mesi. Ho ordinato oggi l’intervento, quando abbiamo avuto abbastanza informazioni di intelligence. E' il risultato più importante nella nostra lotta ad Al Qaeda. La battaglia non è finita, rimaniamo vigili. Ma la nostra guerra non è contro l'islam”. Inutile dire quello che è accaduto subito dopo il comunicato. La gente si è riversata nelle strade e davanti alla Casa Bianca cantando l’inno nazionale e scandendo “Usa, Usa”. C’è chi si è ubriacato, chi si è messo a pregare inginocchiandosi sul marciapiede, chi ha sparato colpi di fucile e di magnum 765 in aria e chi ha picchiato violentemente la moglie senza che la poverina sapesse perché. Ma gli americani, si sa, sono un po’ bambini e a loro i morti, specie quelli cattivi, danno una gioia incontenibile. C’è da dire però che Bin Laden si era fatto odiare da milioni di persone. Nonostante in precedenza si fosse messo in luce per attentati contro le ambasciate statunitensi di mezzo mondo, dopo Ground Zero il suo appeal era cambiato e l’America non era stata più la stessa, quasi stretta in una rete di paura, fisica e psichica, che aveva portato George W. Bush (incredulo che qualcuno avesse potuto osare tanto contro il suo paese da continuare ad ascoltare le canzoncine dei bambini della scuola che era andato a visitare), a limitare diritti civili che i cittadini ritenevano inviolabili. Varò leggi speciali, sottopose a vigilanza stretta tutti gli immigrati di origine araba, anche se residenti negli Usa da oltre vent’anni, dichiarò guerra all’Afghanistan e destinò il 50 per cento del bilancio nazionale alla produzione di armi sempre più sofisticate e nell’addestramento di killer di terza generazione, quelli bionici. E, mentre Dick Cheney sorvolava Washington per essere pronto a prendere il posto del presidente nel caso in cui fosse stato ucciso, alle Torri Gemelle avveniva il più grande rito collettivo di disperazione che l’America avesse mai vissuto. Come sempre accade in questi casi però, passato il momento di euforia, iniziano le domande e la prima non può non essere quella che Obama ha rivolto ad Asif Ali Zardari, il presidente pakistano, al quale ha chiesto come fosse possibile che Bin Laden si trovasse in un centro residenziale di Abbotabad (a pochi chilometri da Islamabad), che è sede di una importante base dell’esercito di quel paese. Imbarazzatissimo, Zardari ha risposto: “Nenti vitti, nenti sacciu, nenti 'ntisi” a dimostrazione che tutto il mondo è paese e il Pakistan, luogo di addestramento dei talebani, lo è un po’ di più. Insomma questa mattina, ore 4.46 di Washington, è finita una storia che ha tenuto per 10 anni il mondo sospeso fra l’esigenza di continuare a rispettare le regole dettate dalla democrazia e la tentazione di dare una sterzata autoritaria in nome della “sacra paura”. La “sindrome da terrore” è quella che fa compiere agli uomini le più grandi efferatezze perché si basa essenzialmente sull’istinto di sopravvivenza estremamente spiccato in tutti gli esseri viventi, microrganismi e piante compresi. È la sensazione che trasforma un alito di vento in un ciclone delle Azzorre e una farfalla in un pericolosissimo strumento di guerra batteriologica. È la percezione che intorno ci siano solo nemici da sopprimere prima che loro sopprimano noi, ed è una reazione a catena che causa, come a George Bush, la voglia irrefrenabile di bombardare tutti per colpirne uno, fino alla psicosi da frustrazione che sopravviene quando, nonostante l’impegno, il nostro nemico si diverte come un matto a mandare in giro per il mondo videoclip. E non c’è dubbio che Bin Laden si sia divertito per anni. Mentre circolavano voci sulle sue condizioni di dializzato bisognoso di cure giornaliere impossibili da praticare in una caverna, lui se la spassava nei residence pakistani con mogli, figli, parenti, bodyguard, concubine e qualche eunuco a loro difesa. Che le cose si fossero evolute lo si era capito quando le scenografie dei suoi video erano cambiate e alle sue spalle non apparivano più le montagne ma drappi di stoffa che non avrebbero avuto senso e, soprattutto, gli avrebbero fatto perdere la sponsorizzazione dell’Ente per il Turismo afgano, se non avessero dovuto coprire la location vera del film. Ore 6.00, le televisioni dicono che “i soldati americani sono entrati in possesso del corpo di Osama Bin Laden”. Ore 7.46, le tivvù pakistane stanno mostrando il cadavere di Bin Laden al mondo mentre i membri della Jihad insistono a smentire la notizia. Ore 7.58: sui siti della guerra santa islamica si legge: “Oh Allah, fai che questa notizia non sia vera! Che Allah ti maledica, Obama. Americani, noi continueremo a sgozzarvi”. La storia è finita? Non è la messa di Nanni Moretti né tantomeno i processi di Silvio.

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