Una sorta di semplificazione che elimina il superfluo e disvela la storia nella sua realtà priva di effetti speciali, priva di quei trucchi che spesso distolgono l’attenzione dall’anima del racconto. Forse un modo, quello di Gondry, per suggerirci quanto possa essere semplice e nello stesso tempo divertente spogliare le cose da tutti i loro orpelli, che spesso non ci permettono di coglierne appieno il significato. La lista dei lungometraggi maroccati è piuttosto lunga: “Ghostbusters”, “Il re leone”, “RoboCop”, “2001: Odissea nello spazio”, “King Kong”, “A spasso con Daisy”, “Titanic”, “Men in Black” e molti altri ancora. Un succedersi incalzante di pellicole accompagnato da un’armoniosa colonna sonora: a fare da filo conduttore i brani del pianista jazz Fats Waller (mito attorno al quale ruota la vicenda dei personaggi), intervallati da classici della musica R&B. Spicca tra tutte “Jerry’s Sweded Ghost Song” (la versione maroccata di Jerry del jingle del cult “Ghostbusters”) e l’arrangiamento di “Your Feets Too Big” interpretato da Jean-Michel Bernard insieme all’attore Mos Def e al regista Michel Gondry, batterista del gruppo pop francese “Oui Oui”.
Quello che rende questa commedia esilarante ed emozionante al tempo stesso è l’animo sognatore dei protagonisti, che con creatività e inventiva tentano di risollevare la situazione economica (davvero pessima) della videoteca, rimasta ingabbiata nelle vecchie tecnologie ormai in disuso (il VHS) e quasi del tutto sconfitte dall’avvento del DVD. Ma la loro non è una battaglia contro i mulini a vento: ciò che si tenta realmente di recuperare è il rapporto umano tra i vicini di quartiere, coinvolgendoli sempre più nel girare i film, fino ad approdare alla realizzazione di una pellicola originale basata sulla vita del pianista jazz Fats Waller nato nella loro cittadina di provincia del New Jersey, Passaic. È la battaglia di una comunità che preferisce ancora l’umanità all’efficienza e alla grande quantità. Che rinasce quando sembra possa scomparire nell’anonimato, rispolverando il proprio vissuto in maniera creativa, reinventandolo.
Forse discutibile l’idea che si possa reinventare il passato a nostro piacimento (come ci illustrava apocalitticamente George Orwell in “1984”, in cui riscrivere il passato era un modo per sfuggire perennemente dai propri errori e responsabilità), ma Gondry in questo caso ne mette in luce l’aspetto positivo: la possibilità di costruire e riaffermare l’identità di una piccola comunità attraverso la creatività, edulcorando e mitizzando la vita di Fats Waller, non più un semplice pianista, ma simbolo dei valori umani che identificano Passaic. Nonostante qualche lentezza narrativa iniziale, la visione è del tutto piacevole grazie al carattere ludico del film, che trascina lo spettatore nella sua giostra di parodie, che però altro non sono che un omaggio al cinema, o meglio all’arte del cinema, capace di suscitare emozioni. E Gondry in questa pellicola ci riesce in pieno, lasciandoci dopo centocinque minuti con un bel sorriso impresso sul viso.