Secondo uno studio recente portato avanti da alcuni ricercatori del National Center for Atmospheric Research di Boulder, in Colorado – insieme ad altri colleghi ed esperti del Nasa Langley Research Center di Hampton e dell’Università del Wyoming, a Laramie – gli aerei (grossi jet commerciali o piccoli aerei privati) provocherebbero precipitazioni piovose o nevose creando “buchi” e canali all’interno delle nubi.
A questa conclusione gli scienziati sono arrivati analizzando nel dettaglio immagini satellitari di queste coltri di nubi sforacchiate e mettendole a confronto con i dati del traffico aereo relativi al momento in cui sono state scattate. Hanno poi utilizzato modelli computerizzati per le previsioni atmosferiche per simulare la crescita e l’evoluzione delle nubi.
Lo studio, pubblicato sulla rivista Science (anche se sul sito non sono riuscito a trovare l’articolo) paragona questo fenomeno al Cloud Seeding, una vecchia tecnica di “inseminazione” artificiale delle nubi con sostanze chimiche idroscopiche che ne modificano i processi microfisici per alterare il clima a livello locale (con scarsi risultati).
L’effetto è facilitato dall’espansione e dal raffreddamento dell’aria dietro l’elica dell’aereo quando la temperatura nelle nubi è di -10 gradi o inferiore: qui i cali di temperatura sono sufficienti a far gelare le gocce di acqua nelle nuvole e a mettere in moto un processo per cui si creano buchi e canali al loro interno, che continuano ad espandersi per ore, facendo aumentare le precipitazioni dentro e sotto la nuvola.
La stessa cosa accade quando l’aria entra in contatto con le ali dei jet, anche se il raffreddamento è minore. La temperatura dell’acqua scende sotto il punto di congelamento creando così cristalli di ghiaccio che fanno da catalizzatori per il vapore provocando neve e pioggia.
Gli scienziati spiegano anche che gli effetti sono molto modesti e limitati in un’aera di circa 100km dai principali aeroporti con traffico intenso, specie in inverno quando la maggior parte delle nubi sono basse e molto cariche. È plausibile quindi parlare di microvariazioni del clima anche se questa forma di inquinamento è irrilevante se comparato a quello prodotto da combustibili fossili, come il carbone o il petrolio.
Il fenomeno dei “buchi”, chiamato anche Punch Cloud, non è nuovo ed è studiato da oltre 70 anni. Spesso questo tipo di nuvole sono scambiate dai complottisti per esperimenti militari segreti o associate al passaggio di U.F.O.
L’articolo è un duro colpo per gli sciachimisti (e contattisti vari), convinti che siano le contrails (pardon…chemtrails) a provocare precipitazioni o a disperdere le nubi. Il fenomeno non è associato a quelle che chiamano in gergo “irrorazioni di aerosol clandestine” e conferma come questi soggetti siano soliti mischiare argomenti scientifici con storie verosimili assolutamente prive di fondamenta per depistare chi cerca di smontare le loro teorie.
Tiratina d’orecchie anche a LaRepubblica.it per aver tradotto probabilmente in maniera errata quanto segue:
la necessità di scongelare le ali degli aerei, in futuro, sarà sempre frequente, dal momento che in inverno gli aeroporti sono spesso coperti da nubi basse. Senza contare il possibile malumore di chi abita nelle vicinanze degli scali, bagnati e innevati più che altrove.
In realtà la quasi totalità degli aerei commerciali ha già serpentine di “sbrinamento” collocate sul dorso dell’ala per evitare la formazione di ghiaccio che ne comprometterebbe il profilo e quindi la portanza. Lo stesso sistema è montato anche sul famoso tubo di pitot, attraverso il quale viene rilevata la pressione statica e dinamica fondamentali per il funzionamento di alcuni strumenti di bordo.