Gli Afterhours portano Padania al Nuovo Teatro dell'Opera di Firenze

Creato il 24 giugno 2012 da Musadinessuno @lamusadinessuno
Dopo neanche 11 mesi dalla data di Piombino, venerdì ho rivisto gli Afterhours live.  E io che credevo che non li avrei più rivisti esibirsi in un luogo bello quanto Piazza Bovio, la nostra gloriosa terrazza sul mare affacciata sull'Elba. Invece il Teatro dell'Opera di Firenze, attaccato alla Stazione Leopolda e imponente nel suo candore, è riuscito a lasciarmi senza fiato. E sommando il batticuore da live, il languore da afa e il rimescolamento ormonale che mi provoca il signor Agnelli, il risultato è stato un concerto vissuto come un getto d'acqua vaporizzato sulla pelle, le note come gocce, che scivolano e si insinuano dappertutto: mente, corpo, orecchie, lingua, cuore, mani, naso, pancia...
Neanche stavolta avevo con me la reflex. L'avevo lasciata in stanza, perché non sapevo se la ressa e la distanza mi avrebbero permesso di scattare foto, e in fondo un po' ero stanca di trascinarmi dietro il mio strumento di registrazione di emozioni preferito, tanto delizioso quanto pesante. In realtà eravamo a una distanza che il mio 17-70 avrebbe potuto coprire, e c'era tutto lo spazio per sedersi (addirittura, una volta che ci siamo alzati per cantare e ballare, le borse sono rimaste quasi sempre comodamente sdraiate ai nostri piedi), quindi sì, ho sprecato l'occasione per scattare qualche foto alla band. 

Ma non per cantare, sudare, commuovermi e perdere la voce, di nuovo.  In ogni caso, qualche foto della serata l'ho presa dalla pagina Facebook di Te La Do Io Firenze, dove potete trovare un'intera gallery con le foto scattate da Valentina Cipriani




Tweet delle 11.57 PM: Ciao, sono quella che quando gli Afterhours intonano "Pelle" ha le gambe che tremano come la prima volta che ha visto l'amore negli occhi. 
In realtà sono anche quella che si scioglie di brutto appena Mr. Agnelli si siede alla tastiera, perché sa che è arrivato quel momento. Il momento in cui le parole vengono fuori come i grani di un rosario, una supplica e una maledizione. Ogni volta è come la prima volta,. L'effetto che mi fa è quello, sempre. 
Come previsto, Paola e io ci siamo scordate di immortalarci insieme durante il concerto. 

Neanche quando è saltata la corrente nel bel mezzo del concerto e abbiamo visto la band posare gli strumenti e trottare verso il backstage senza guardarsi indietro (e in molti ci siamo chiesti quante teste sarebbero saltate e se il concerto sarebbe ripreso, per poi sorridere di sollievo quando sono rientrati e Manuel ha detto: "E' bello questo posto, c'è dell'elettricità nell'aria").
E neanche dopo, di fronte agli schiaccini della Farmacia dei Sani e davanti a birra e mojito a due passi dalla Fortezza.
Sarebbe stato bello scattare una foto a una Firenze addormentata ma ancora a suo modo pulsante, adrenalinica. Alle tre del mattino le città hanno una voce che si riesce a sentire non tanto con le orecchie, quanto con la pelle. 

(qui l'intervista di Leonardo Capanni a Giorgio Prette, sempre per Te La Do Io Firenze)

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