Gli Agenti Raccontano… Giovanni Trapattoni

Creato il 24 dicembre 2015 da Agentianonimi

E’ il 1939, più precisamente il 17 Marzo. A Cusano Milanino, piccola realtà appena fuori Milano, viene alla luce un certo Giovanni Luciano Giuseppe Trapattoni da Romilde e Francesco Trapattoni. Passa la vita tra la casa, situata nel paese di nascita, la scuola e l’oratorio di San Martino, un modestissimo campo in terra battuta dove si riuniscono tutti i ragazzi di quella porzione di periferia milanese. Questa è una storia che si ripercorre sempre: tutti i calciatori nascono in strada, negli oratori, nei vicoli, soprattutto per chi ha umili origini come il Trap. Solitamente da questi luoghi arrivano i calciatori di talento, quelli che crescono imparando a dribblare tutti gli avversari, soprattutto più grandi, per evitare di cadere per terra e subire dolorose escoriazioni. Ma il piccolo Giuanìn affronta un percorso diverso: affina le sue abilità di comando, di direzione, di manovra, prediligendo un gioco calmo e poco grintoso. Il passo successivo sarà il passaggio al Frassati, suo primo vero club, e poi la squadra del suo paese, il Cusano. Giunto al 17esimo anno di età, sostiene un provino per il Milan. Qualche giorno dopo entrerà a tutti gli effetti nella squadra Rossonera.

Milan, la sua seconda pelle

Debutta all’età di 19 anni in un match di Coppa Italia, il 29 Giugno del ’59 nella vittoria per 4-1 del Milan contro il Como. Quella partita segnerà la vita del giovane milanese.

Non aveva avvisato nessuno di questo match, nemmeno il padre, che purtroppo non potrà mai avere il piacere e sentirsi orgoglioso del figlio che gioca nel Milan, perché viene a mancare pochi giorni dopo. Questo triste evento segna la carriera, sebbene appena nata, del giovane Trap. Dubbi esistenziali, mille domande e nessuna risposta, e soprattutto una che è pesante: continuare col calcio vivendo nell’incertezza di arrivare a guadagnare a sufficienza per mantenere la famiglia, o abbandonare e dedicarsi al lavoro in tipografia? Alla fine continuò col calcio, soprattutto grazie alle pressioni del fratello Antonio e di Gipo Viani, allora Dt della squadra.

Mediano, difensore e all’occorrenza pure terzino. Trapattoni divenne in pochi anni uno dei perni del Grande Milan degli anni ’60 sotto la guida del Paròn Nereo Rocco, che arrivò a vincere due Coppe dei Campioni, due Scudetti, una Coppa Italia, una Coppa delle Coppe e addirittura la Coppa Intercontinentale.

Per il nostro Giuanìn epica fu la finale di Coppa dei Campioni del 22 Maggio 1963 a Wembley, dove si fronteggiava il Benfica di Eusebio, squadra molto tosta e ricca di talento che vedeva proprio nell’attaccante angolano la sua punta di diamante. La partita incominciò male: dopo pochi minuti il portoghese castiga il portiere Ghezzi, il Milan è sotto e non si riesce a fermarlo. Qui l’idea geniale di Rocco: spostiamo Trap in marcatura su Eusebio, con la sua corsa, la sua grinta, e la sua diligenza lo fermerà di sicuro. E fu così che i Diavoli riuscirono a completare la rimonta e si portarono a casa la coppa, la prima per una squadra italiana.

Rimase ben 11 anni in prima squadra attraversando periodi bui, dalla possibile cessione alla panchina con Liedholm, e periodi luminosi, come la seconda Coppa dei Campioni dopo il ritorno del suo secondo padre, Rocco. Finchè nel 1971 decise di lasciare e di trasferirsi una stagione al Varese, club che desiderava migliorare la propria posizione nel massimo campionato italiano, e che aveva in rosa un certo Ariedo Braida, che ritroverà poi al Milan come dirigente.

La panchina, la sua seconda casa.

Lasciò il calcio la stessa stagione in cui si trasferì al Varese. Nel 1972 appese gli scarpini al chiodo. Come ogni calciatore che si rispetti, incominciò a studiare e lavorare per diventare allenatore, anche grazie all’aiuto del suo caro amico Milan che lo accolse come aiuto allenatore, seguendo il suo maestro Rocco e il suo vice ed amico, Cesare Maldini. La prima esperienza da protagonista sulla panchina rossonera non fu proprio esaltante: con il Paròn squalificato e Maldini influenzato, toccò al Trap guidare la squadra nella sfida decisiva per lo scudetto, dove il Milan perderà 5-3 la sfida a Verona, perdendo lo scudetto della stella, che tutti i giornali davano per già fatto, che andrà alla Juventus.

Passa altre tre stagioni alla guida tecnica dei rossoneri, sempre da gregario, ad imparare da Rocco, prima e da Maldini, poi. Finchè Rivera non decide di acquistare il Milan, diventando allenatore-presidente, inedito per il calcio del dopoguerra. Conquista la guida della panchina nella stagione 1975-76, ma lascerà a fine stagione per diversi problemi di gestione dello spogliatoio e a risultati non troppo esaltanti. Quando tutto sembrava finito, per lui arriva un’offerta sorprendente: Gianni Agnelli e Boniperti hanno scelto lui per allenare la Juventus!

Dall’estate successiva fino a quella del 1986 passerà un periodo di successi e coadiuvato da tanti campioni: Platini, Boniek, Rossi, Tardelli, Bettega, Brady con i quali vincerà 1 Coppa dei Campioni, 6 scudetti, 2 Coppe Italia, 1 Coppa delle Coppe, 1 Coppa UEFA, 1 Supercoppa Europea e 1 Coppa Intercontinentale.

“Questa ferita rimarrà sempre aperta” così disse Trapattoni dopo la vittoria della prima Coppa dei Campioni vinta da lui e dalla Juventus. Già, perché in quella fredda serata belga di tardo maggio, c’era poco da festeggiare. Sul campo vinse la Juventus 1 a 0 contro il Liverpool, ma sugli spalti 39 persone persero la vita a causa del cedimento di una tribuna, dovuta al peso eccessivo portato dall’invasione dei tifosi inglesi. Quella notte dell’Heysel segnò profondamente l’Europa calcistica e non, soprattutto quei calciatori che erano scesi in campo ignari di tutto quello che accadde prima del fischio d’inizio.

Dopo quella maledetta serata, nonostante fosse vincente, rimase un’altra stagione sulla panchina della Vecchia Signora portando a casa l’ultimo scudetto e la Coppa Intercontinentale in finale con l’Argentinos Juniors. Per lui si propone un ritorno a Milano, nella sua Milano, però il destino è strano e complicato. E’ il nuovo allenatore dell’Inter.

Il quinquennio alla guida dei nerazzurri è vincente, sulla stessa onda di quello alla Juventus. L’Inter del Trap e dei tedeschi vince dopo nove anni lo Scudetto nella stagione 88/89 stabilendo un record entrato ormai nella storia del calcio. I nerazzurri conquistano 58 punti su 68 disponibile in un torneo a 18 squadre e con 2 punti guadagnati dopo ogni vittoria.

Dopo un breve ritorno nella Torino bianconera si aprono le piste per l’estero: firma per il Bayern Monaco. Nei 3 anni di Germania, con una piccola fuga al Cagliari nel 95/96, vince un campionato, una Coppa di Germania e una Coppa di Lega tedesca.

Tornato nel BelPaese si accomoda sulla panchina della Fiorentina, non riuscendo a imporre i suoi diktat ai calciatori della Viola nel biennio di panchina, nonostante un buon cammino in Champions League e una finale di Coppa Italia persa con il Parma.

Dopo questa esperienza girò continuamente per l’Europa: Benfica, Stoccarda e RedBull Salisburgo. Vince il campionato sia in Portogallo che in Austria, ma in Germania non riesce ad imporsi come sperava, nonostante ci fosse uno dei suoi pupilli ai tempi dei nerazzurri ad aiutarlo, Lothar Matthäus.

Questo periodo segna il tramonto della sua infinita carriera, scegliendo di diventare selezionatore per alcune squadra di calcio nazionali.

Lo strano rapporto con la nazionale, in campo e in panchina

Nel suo periodo rossonera la nazionale passa sempre in secondo piano. La sfortuna gioco un ruolo determinante nella sua carriera negli Azzurri. Partendo dalla semifinale persa allo spareggio alle Olimpiadi di Roma60 contro la Jugoslavia, maledetta monetina che cadde sulla faccia sbagliata… Poi il Mondiale in Cile, quello del 1962, passato da spettatore per un infortunio, e così anche l’Europeo successivo, dove però tutta Italia la guardava in televisione… Fino al 1965 quando, nel ritiro pre-amichevole contro la Polonia, si strappò pregiudicando una stagione che non era partita col piede giusto. E da quel momento abbandonò definitivamente la nazionale azzurra.

Ritornò, questa volta in panchina nel 2000. Dopo l’abbandono di Zoff, a causa della sconfitta in finale all’Europeo contro la Francia, al Trap fu affidato il compito di guidare la selezione azzurra alle qualificazioni e ai successivi Mondiali di Giappone e Corea. E anche qui, il destino non è buono con lui.

L’Italia passa i gironi al secondo posto, dietro al Messico, e affronta la Corea del Sud, in una partita che per noi italiana è rimasta, purtroppo, impressa. Il 18 Giugno del 2002, la direzione dell’arbitro Moreno condanna gli Azzurri all’eliminazione, dopo aver perso 2-1 ai tempi supplementari in una partita che era decisamente alla portata dei nostri connazionali. Nonostante le infinite polemiche, e molti insulti, per la conduzione della gara da parte dell’arbitro ecuadoriano, a finire sul banco degli imputati fu anche il Giuanìn nazionale reo, secondo alcuni, di aver sbagliato la sostituzione di DelPiero con Gattuso e di non aver convocato il Divin Codino Baggio. Nonostante questo venne confermato.

Gli Europei del 2004, purtroppo, lo vedono ancora una volta vittima del fato: in un’altra giornata da ricordare, in senso negativo purtroppo, l’Italia riesce a vincere contro la Bulgaria nell’ultima giornata del girone della competizione. Vittoria che non basterà perché Svezia e Danimarca, allora prime a pari merito, pareggiarono 2-2, e passarono il girone per miglior differenza reti, in quella partita che verrà ricordata come il “Biscotto Scandinavo”. Lascia dopo la fine di questa competizione e verrà sostituito da Lippi.

Nel 2008 ritorna su una panchina di una Nazionale: diventa il selezionatore dell’Irlanda, chiamato dal suo ex-giocatore e pupillo Brady, irlandese, e che nel frattempo è diventato un dirigente della federazione dei Greens. Assistito dal fedele Tardelli, guidò la selezione fino al Dicembre 2013, giorno delle sue dimissioni. E ovviamente, la fortuna è cieca, ma la sfortuna ci vede benissimo. Qualificazioni ai Mondiali di Sudafrica 2010, il Davide Irlanda affronta la Golia Francia. I Galletti non se la sono passati bene ai gironi e affrontano una squadra ben organizzata, il campo però dirà che i Bleus l’estate dopo la trascorreranno nella terra di Nelson Mandela. Andata persa in casa per 1-0 e ritorno in terra gallica pareggiata per 1-1, con il pareggio arrivato da un assist col la mano di Henry a Gallas, creando un vortice di polemiche sulla falsa riga di quelle già capitate al povero Trap nelle precedenti esperienze da selezionatore di una nazionale. Riuscì poi qualificarsi agli Europei di Ucraina e Polonia del 2012, non riuscendo a passare il girone di ferro contro Italia, Spagna, Croazia. Terminerà la sua esperienza l’anno successivo, e con questa anche la sua carriera da allenatore

Il personaggio fuori dal campo, tra gaffe, sfuriate e frasi storiche

Giovanni Trapattoni è senza dubbio uno dei personaggio e degli esempi migliori del calcio Italiano. Un uomo vero, un condottiero dentro e fuori dal rettangolo verde. Il Trap non ci ha lasciato solo grandi successi e trionfi ma molte frasi, espressioni e reazioni diventate ormai un vero e proprio patrimonio del nostro calcio.

 Mia moglie mi domanda sempre, quando smetterai? E io invariabilmente le rispondo, un giorno. Lei prova sempre a farmi dimenticare il calcio, ma senza grande successo.

Giovanni Trapattoni

È uno che saprebbe farsi capire anche dai giapponesi.

Arrigo Sacchi

Trapattoni è un grande tecnico perché parla il linguaggio dei calciatori.

Lothar Matthäus

A cura di Gianluca Zanfi e Vito Lecce


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