Commentando il post di Bortocal “La scorciatoia del giudizio” (qui il link), riesumo un pensiero che mi è caro, che perseguo da tempo, maggiormente in quest’epoca di mail, chat, sms: la parola, soprattutto se scritta, permette agi che le azioni non danno.
Le persone hanno differenti comportamenti quando scrivono da quando parlano, quando parlano da quando agiscono. Il potere infuso dalla tastiera nasce dal mancato confronto diretto, dalla comunicazione cieca degli sguardi, dalla mancanza del tocco delle mani, dalla gestualità del corpo, delle pause, del respiro più eloquente di mille parole. Si è diversi quando si scrive, si è quasi più forti, coraggiosi, non si deve fare il conto con le lacrime o con le risa dell’altro, quello con cui ci relaziona.
Sto parlando di chi le parole le sa usare, il giocoliere, il manipolatore. Di colui o colei che usa le parole come una maschera di forza che non sa avere quando agisce.
E’ per questo che le persone occorre viverle per conoscerle davvero.
Perché le parole scritte sono l’estensione dei nostri sogni, l’irreale che non realizziamo, l’onda lunga dell’amore, dei desideri: le parole scritte sono la destinazione mancata del nostro cuore.
Ma è quando agiamo che siamo più veri, la somma di parole, cuore, intelletto e realtà. Perché è solo con il confronto diretto con la realtà che ci riveliamo.
Il resto, tutto il resto che diciamo solo con le parole, è una proiezione di quello che vorremmo essere e non siamo.
Chiara