Gli Alkaloid e il futuro del death metal

Creato il 12 aprile 2015 da Cicciorusso

Eccoci qua, avevo promesso che ne avrei parlato e non intendo tirarmi indietro, soprattutto non dopo essermi scofanato The Malkuth Grimoire degli Alkaloid, disco che mi ha dato lo spunto definitivo per buttare giù una riflessione che mi frulla in testa ormai da diverso tempo.

Andiamo con ordine: gli Alkaloid altro non sono se non una all-stars band formata da ex-Necrophagist, ex-Obscura e compagnia bella, insomma gente che ha passato buona parte della propria adolescenza a sfregiarsi i polpastrelli sulla chitarra. Fin qui non ci sarebbe nulla di male, ma la risonanza che ha avuto il debut di ‘sti cani deve tutto al periodo storico nel quale il disco è stato prodotto. Ormai da diversi anni vedo susseguirsi un trend dopo l’altro all’interno del death metal: prima lo slam, poi il revival old school e adesso il technical. Ognuno di questi risponde ad una precisa necessità da parte del pubblico in quel dato periodo: lo slam ha cercato di esplorare la pesantezza di un genere come il brutal dal punto di vista di un’esecuzione lenta, cadenzata e ridondante (con risultati pessimi aggiungo io); il revival old school rispondeva all’insoddisfazione da parte di numerose persone nei confronti di ciò che il death metal stava diventando, cioè una parodia di se stesso.

E il technical? Ancora non mi sono fatto un’idea precisa in merito, ma tendo a credere che quest’ultima moda (perché di moda si tratta) sia nata per tentare di ammantare il death metal di un’aura sofisticata, intellettuale e colta, quasi a voler prendere le distanze dalle origini stesse del genere, nato per mano di gente sanguigna ed istintiva (e, perché no, ingenua), il cui intento era sfornare la musica più cattiva, scorretta e pesante che ci potesse essere all’epoca. E come fai a rendere intellettuale il death metal? Semplice, lo infarcisci di tecnicismi strumentali, mandi a puttane il songwriting, catapulti sull’ascoltatore un’overdose di scale, assoli, tempi dispari e chi più ne ha più ne metta e, cosa più grave in assoluto secondo me, produci dischi dalla durata assolutamente indegna. E qua mi ricollego al disco citato in apertura: The Malkuth Grimoire è un precipitato di tutta la bravura e la perizia di cui gli autori sono capaci; peccato che sia anche una gigantesca rottura di coglioni, indigeribile ed insopportabile per qualunque essere umano dotato di una pazienza media e che sia interessato ad ascoltare della buona musica e non delle clinic su disco. Qua e là ci sono pure delle parti interessanti: un riff, un giro di batteria che ti si stampa in testa e poco altro, il resto è un mattone insostenibile dalla durata complessiva di un’ora e tredici minuti abbondanti. Un’ora e un quarto per un disco death metal, mannaggia a chi so io. Symbolic (di cui abbiamo parlato nello scorso appuntamento con Avere vent’anni) dura poco più di 50 minuti ed è P-E-R-F-E-T-T-O. È tecnico, è elaborato ed è pure lunghetto ma le canzoni ti si stampano in testa al primo ascolto. ‘Grazie al cazzo’ direte voi, gli Alkaloid non hanno un Chuck Schuldiner.

Il problema non è questo, il problema degli Alkaloid (e di tutte le altre band loro pari) è il volere a tutti i costi dimostrare qualcosa, sforzarsi di produrre della musica che non sia banale senza rendersi conto che questo non significa automaticamente che il prodotto finito sarà soddisfacente. Innovativo non significa necessariamente divertente. Ed io mi sono rotto i coglioni di spulciare il web alla ricerca di nuovo materiale e trovarmi davanti a dischi formati da 4 canzoni di 15 minuti ciascuna, è semplicemente sbagliato, è una presa per il culo nei confronti dell’ascoltatore. Non ce lo scrivere ‘death metal’ tra i tag, brutto coglione, scrivi ‘a noi piace il death metal, ma siccome non vogliamo fare la figura dei trogloditi che’ poi le fighe non ci guardano nemmeno e abbiamo il diploma del conservatorio appeso in camera, abbiamo riempito il disco con i nostri svarioni, enjoy’. Mi rendo conto che messa così sembra che io ce l’abbia a morte con qualunque band sfoggi una perizia tecnica di un certo livello ma, credetemi, non è così. Amo i Death, sia nel periodo più “canonico” sia in quello successivo, che poi era la loro vera natura. Amo gli Ulcerate che in quanto a perizia tecnica non sono secondi a nessuno e amo moltissime altre band che, pur sfoggiando una bravura indiscutibile, non perdono mai di vista il punto: scrivere canzoni. E non ce l’ho nemmeno con gli Alkaloid in particolare, rei solamente di aver prodotto un disco che mi è capitato sottomano nel momento sbagliato, se fosse stato un altro periodo lo avrei semplicemente ignorato. Ad ogni modo sentivo di voler parlare di questa questione, se non altro per sapere cosa ne pensate voi. Intanto io mi ascolto l’ultimo Sulphur Aeon che in 40 minuti spazza via tutto. Ah, vi lascio il player del disco degli Alkaloid, se riuscite ad arrivare in fondo vi meritate un posto nel Valhalla: