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Così non va. Proprio non va. La crisi non può portare un atteggiamento ancora più difensivo nella selezione delle risorse umane. I dati della ricerca Excelsior, resi noti lunedì, segnalano che -nel 2010- la quota di assunzioni avvenute per conoscenza ha sfondato quota 60%, attestandosi al 61,1%. Insomma, oltre sei aziende su dieci assumono persone che conoscono, oppure persone segnalate da qualcuno di cui si fidano.
Il fenomeno dilaga con percentuali bulgare tra le Pmi e nel Mezzogiorno: in quest’ultimo caso addirittura sette aziende su dieci ricorrono al canale “informale” di selezione. Nelle grandi aziende, quelle con oltre 500 dipendenti, la percentuale ovviamente si inverte: una su due fa riferimento alla propria banca dati interna per selezionare il personale. E solo una su dieci si affida ai canali informali. Ma parliamo di una netta minoranza delle aziende italiane (oltre il 95% delle quali sono Pmi).
Un altro dato colpisce l’attenzione: inserzioni sui media, agenzie di intermediazione e centri per l’impiego raccolgono una quota davvero minima di imprese. Le tre categorie -insieme- superano con difficoltà il 10% delle modalità di ricerca di personale.
E ora veniamo al dunque. Ci sono due osservazioni da fare, al proposito. La prima: non è detto che tutte queste assunzioni per conoscenza equivalgano -in automatico- a delle “raccomandazioni”. Possono essere anche segnalazioni “all’anglosassone”: cerco un profilo, per cui decido di chiedere a qualcuno di cui mi fido… che sono certo mi segnalerà quello migliore – tra quelli di sua conoscenza. Tuttavia, poiché viviamo in Italia, a pensar male si fa peccato, ma ci si azzecca spesso e volentieri: sono dunque certo che molte di queste assunzioni per conoscenza celino in realtà raccomandazioni o scambi di favori, in ottica futura. Insomma, spesso e volentieri, e per comodità, si rinuncia a cercare davvero il profilo migliore, preferendo quello più “ammanicato”. Non è un segnale di un Paese avanzato. Al contrario. Fa pensare a un Paese arretrato. Molto arretrato.
La seconda considerazione: ponendo anche -per assurdo- che il 100% di queste assunzioni per conoscenza celi in realtà delle segnalazini rigorosamente “anglosassoni”, una tale percentuale (sei imprese su dieci) lascia pochissime porte aperte a quei giovani bravi e preparati, privi però delle conoscenze giuste per accedere a un colloquio.
In questo Paese occorre cominciare a cambiare la cultura aziendale: avviare un percorso di ricerca serio e strutturato dei profili può apparire -a prima vista- una perdita di tempo. Ma -in prospettiva- può portare a un enorme cambiamento del Paese. Immaginate un Paese diverso, dove non accade più che sei imprese su dieci assumono per conoscenza. O che l’85% delle offerte di lavoro siano nascoste (dati Unioncamere). E otterrete l’Italia del futuro.
L’alternativa: la fuga all’estero, sempre più massiccia, dei migliori giovani professionisti. Quelli che non hanno conoscenze o raccomandazioni da vantare. Ma un solido curriculum, unito a tanto talento. All’estero li attendono a braccia aperte. In Italia neppure sanno della loro esistenza. Tanto qui si assume solo chi si conosce…
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