Gli amici del deserto, una recensione

Creato il 22 giugno 2013 da Anellidifum0

C’è tanta letteratura americana nell’ultimo romanzo di Marco Mancassola, Gli amici del deserto (Feltrinelli, 2013, 14 euro, 147 pp.) e tanta letteratura psichedelica e di viaggio. Il Kerouac di On the Road, naturalmente, ma soprattutto di Big Sur, che sono anche i titoli dei primi due capitoli di questo libro, ma anche autori meno noti, dal Kim Nunn di Surf City, all’Antonin Artaud de Les Tarahumaras e perfino una rivisitazione in chiave di ben più profonda qualità letteraria e introspezione psicologica del primo e miglior romanzo di Andrea De Carlo, Treno di panna.

Il mito del viaggio e della frontiera, assieme con i labirinti della psiche umana, sono i motori di questo romanzo breve. La frontiera è quella classica: il Big Sur, quella porzione frastagliata della costa californiana che ha ispirato alcune delle penne e dei registi più nomadi della letteratura e del cinema a stelle e strisce e non solo. Lì, fra Monterey e la contea di San Luis Obispo, dove la strada costeggia l’oceano, con i tornanti che regalano panorami da dipingere a ogni curva. Mancassola fa partire da questo sperone occidentale, già di per sé meta di viaggio per noi italiani, un itinerario nell’itinerario, e la cosa vale sia in senso figurato che letterale: attraverso il deserto californiano fino all’Arizona, alla ricerca di Anselmo, guaritore sciamanico. Ma naturalmente anche alla ricerca del sé perduto, del proprio senso, di una pace interiore che sembra ormai andata via per sempre.

Schema classico: un protagonista e un deuteragonista, più alcune valide figure di sfondo. Del protagonista conosciamo solo l’età, 33 anni, ma non ne sappiamo nemmeno il nome, quasi a confermare una sua disperata ricerca di anonimato e di pausa filosofica di riflessione. Lui, che è anche il narratore in prima persona del romanzo, si è rifugiato in un convento di monaci in California, cercando di dimenticare il fallimento della sua relazione con Kareen, 13 anni insieme, interrotti da una crisi mentale della donna che l’uomo non è stato in grado di gestire. ‟Qual è il tuo vero cruccio? Prova a dirmelo in una sola frase” chiede Brother Lucius al  narratore, che non ha difficoltà a rispondere sinceramente: Non sono riuscito ad amare una donna. Una donna che dopo la separazione dal nostro fragile eroe è invece riuscita a ricostruirsi un’esistenza, sposandosi e rimanendo incinta. Il senso di colpa per la propria incapacità e il sentimento dell’occasione perduta sono le zavorre emotive che àncorano il narratore nella sua stasi californiana.

Da questa stasi verrà a smuoverlo Danilo Scotti, il suo miglior amico, ma altra persona fragile se non fragilissima: commediante che non ha sfondato, è affetto da disturbo bipolare e dipende da vari psicofarmaci che hanno la proprietà di portare artificialmente il suo umore su e giù, come un bambino sull’ottovolante. Danilo vuole che il suo amico venga con sé a cercare nel deserto uno sciamano, o per meglio dire un guaritore naturale, di cui si sa solo che risponde al nome di Anselmo. E’ un’impresa da pazzi, per l’appunto, nella quale il narratore si fa coinvolgere a malincuore, se non altro per evitare un nuovo senso di colpa nei confronti di un’altra persona amata.

Mancassola ci propone dunque una trama alquanto banale: il viaggio alla ricerca di sé, l’avventura nel deserto che è metafora sin troppo telefonata, la scoperta che il traguardo del viaggio è, in realtà il viaggio stesso e tutte le persone che si incontrano intanto che si va. Lo scrittore non ci risparmia nemmeno – all’alba del 2013 – il viaggio a base di peyote nel bel mezzo del deserto, abusatissimo topos letterario della letteratura psichedelica, né l’epilogo parzialmente drammatico di cui non svelo i dettagli.

E tuttavia, anche di fronte a questa franca mancanza di originalità della trama, l’autore riesce col suo stile pulito e intenso a fare letteratura. Ecco che tutti i suoi personaggi, anche quelli minori, vibrano in poche righe. Il lettore li vede ed entra in empatia di vario grado con loro. In appena 147 pagine si fa in tempo ad affezionarsi a tutti i personaggi di Mancassola e si viene coinvolti nel loro improbabile viaggio, si parteggia, si percepiscono i dubbi del narratore, le paure del suo amico, il sentimento della perdita per ciò che non è potuto essere e anche il sentimento della speranza per ciò che, forse, potrà essere ora.

Pubblicata anche su Il Fatto Quotidiano.


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