Gli amori di Dante
Creato il 14 agosto 2013 da Albix
Ha suscitato opposte e contrastanti recensioni il libro “Dante in love” dello scrittore e giornalista inglese A.N. Wilson; a cominciare dal titolo: secondo alcuni critici il libro si sarebbe potuto e dovuto intitolare
“Dante nel suo tempo” oppure “Dante in esilio” evitando di depistare i suoi potenziali lettori (così Andrew Motion nella sua recensione al libro scritta per il quotidiano inglese The Guardian).
In effetti il libro cerca di dare un quadro completo della Firenze ai tempi di Dante Alighieri, per far capire l’ambiente culturale, sociale e politico in cui nacque il grande capolavoro del sommo poeta “La Divina Commedia”.
Detto così anche l’obiettivo sembra però fuorviante: in effetti noi sappiamo che Dante scrisse
il suo capolavoro quasi interamente dopo il suo esilio da Firenze (sembra che
il sommo poeta riuscisse fortunosamente a farsi consegnare da Gemma Donati, qualche
tempo dopo l’inizio del suo esilio, i
primi e unici 14 capitoli dell’Inferno scritti prima).
Non mancano tuttavia le critiche positive al libro: sia l’Observer, sia il Daily Telegraph ne tessono
le lodi in maniera incondizionata.
In Italia, chi si è occupato in maniera approfondita del libro di Wilson è lo scrittore Angelo
Ruggeri, noto anche come saggista e scrittore di didattica per le scuole.
Concordiamo con Ruggeri sul fatto che gli Inglese, spesso, sono più attenti di noi, nello studio della cultura classica e persino della letteratura nostrana; non di meno io consiglierei agli amici inglesi una lettura ed uno studio più attento della “Divina Commedia” ; e soprattutto eviterei giudizi troppo azzardati su Dante uomo politico: Dante Alighieri è prima di tutto un poeta; la sua attività politica, le sue idee, dopo l’esilio, hanno cessato di essere le idee di un uomo libero, costretto come Egli era, a mangiare “lo pane altrui”. In ogni caso, non si può essere grandi poeti e grandi uomini politici allo stesso tempo. Provate a leggere qualche poesia di qualche uomo politico contemporaneo e vedrete se spesso non vi troverete di fronte mediocri uomini politici ed altrettanto mediocri uomini di poesia e di lettere.
Vale comunque la pena di leggere per intero quanto scrive il nostro Angelo Ruggeri che nelle fonti nostrane si sa destreggiare quanto e meglio degli autori inglesi.
Ecco un primo sunto di ciò che scrive il chiaro autore sul libro di Wilson:
“Insomma il giudizio di Mr. Wilson sul Dante uomo politico e sulle sue idee attorno all’Impero Universale non lascia adito a dubbi: Dante è tanto grande come poeta quanto folle nelle sue idee.
La cosa che più sorprende è che tale giudizio, almeno per quel che concerne il trattato sulla Monarchia, coincide quasi perfettamente con quello che ne ha dato la Chiesa Cattolica pochi anni dopo la morte di Dante per bocca del cardinale Del Poggetto e del suo apologista, il frate Guido Vernani da Rimini.
Traggo la notizia dall’articolo del Carducci: “Dante e l’età che fu sua” riportato nelle “Prose di Giosuè Carducci”, edizione del Zanichelli.
“ E chi che non sia un pazzo oserà dire che abbia dominato giustamente sugli uomini cotesto popolo, il quale rivolto dal vero Dio serbavasi in tutto soggetto ai demoni ? Degno invero d’essere scopo a tanto affaccendarsi della Provvidenza quel Cesare Augusto, che oltre che idolatra, fu uomo lussuriosissimo, secondo leggersi nelle cronache,..
Dice Dante : ciò che acquistasi in guerra è giustamente acquistato. Ma questa ragione è iniqua al primo aspetto anche nel giudizio di un uomo del contado: doveva costui distinguere da guerre giuste e ingiuste, e provare che i romani ebbero sempre guerre giuste. Che se si vuol provare col giudizio divino che nella guerra si manifesta, ne seguita che nessuna vittoria è ingiusta, (chi perde ha sempre torto) e come la repubblica romana fu spesso battuta e ridotta a niente ciò avvenne di diritto. ( io avrei scritto al posto di repubblica “l’impero”: se l’impero crebbe per volontà divina anche la sua caduta fu voluta da Dio, anzi avrei evidenziato che Roma fu vittoriosa
finchè repubblicana e decadde con l’impero).
Dice Dante: Cristo approvò l’impero di Cesare quando volle nascere sotto l’editto di lui. Da questa ragione ne seguirebbe che il diavolo fece bene a tentar Cristo, Giuda a tradirlo, i giudici a crocifiggerlo perchè Cristo volle porsi sotto la loro potestà.
Dice Dante: se il romano impero non fu di diritto, il peccato di Adamo non fu punito nella persona di Cristo.
Ma quest’uomo delira a tutta forza! E ponendo la bocca in cielo egli rasente con la lingua la terra!
Chi mai spropositò sì svergognatamente da dire che la pena dovuta per il peccato originale soggiaccia alla potestà di un giudice terreno? Allora il giudice terreno potrebbe punir di morte il fanciullo pur ora nato, poiché la morte corporale fu per divino statuto inflitta agli uomini in pena per tal peccato”
Non si può negare che sul piano del ragionamento la vittoria del frate sia totale!
Il nome di Dante Alighieri è oggi universalmente associato all’Italianità, nel Risorgimento ed anche prima era considerato quasi un profeta , era l’orgoglio della Nazione italiana quando ancora la Nazione non esisteva; tutti i nostri uomini grandi, primi fra tutti i repubblicani, nemicissimi dell’Impero austro-ungarico, Alfieri, Foscolo, Mazzini hanno esaltato Dante come campione della libertà e dell’indipendenza italiana, nessuno sembrava accorgersi che l’impero Austro-Ungarico era il diretto discendente del Sacro Romano Impero, quello che il Dante della Monarchia voleva trasformare in universale!
Generalmente i nostri storici e critici letterari giustificano il suo comportamento come reazione all’ingiusto esilio che gli fu inflitto dai fiorentini, i quali mai vollero riconoscere la sua innocenza rispetto alle accuse per le quali era stato condannato (baratteria) e concedergli di tornare onorevolmente in patria.
Risposta non valida, perché se i sentimenti di Dante fossero stati davvero quelli manifestati nelle lettere all’imperatore, i fiorentini avrebbero avuto buone ragioni per negargli il ritorno né uomini come Boccaccio,
Michelangelo, Alfieri e Foscolo li avrebbero rimproverati.
A me sembra dunque che sia necessario ricercare altre ragioni per il comportamento di Dante e fornire una diversa interpretazione della sua Monarchia.
Se facessimo l’ipotesi che Egli abbia scritto le sue lettere all’imperatore, ai fiorentini, ai principi italiani col proposito di farli vergognare per il loro servile comportamento nei confronti degli nstranieri?
Egli per i posteri mise su carta le ragioni dell’imperatore e dei ghibellini…. perché si vergognassero nei secoli futuri.
I Fiorentini non accolsero l’imperatore e lo combatterono, vincendolo, ma altre città lo sostennero e tra queste c’erano alcune che avevano duramente combattuto contro gli imperatori Svevi . Disgraziatamente per l’Italia un paio di secoli dopo i ghibellini vinsero, se può essere considerata vittoria l’assoggettamento dell’Italia all’imperatore Carlo V.
Ma allora quale erano le idee di Dante?
Se facessimo l’ipotesi che egli non fu mai né guelfo né ghibellino ed anzi pensava che i guelfi e i ghibellini fossero la rovina d’Italia?
I filosofi più citati da Dante nelle sue opere politiche sono Aristotele e Cicerone , tutti e due fieri repubblicani, il cui pensiero è perfettamente coerente col Cristianesimo , mentre gli imperatori che fino al tempo di Costantino perseguitarono i Cristiani e pretendevano di essere onorati al pari degli Dei, assolutamente non potevano proclamarsi “Imperatori per volontà di Dio”, non almeno del Dio dei Cristiani! Non dice il primo comandamento “Non avrai altro Dio fuori di me”?
Nel secolo XVI, con l’Italia ormai rovinata e resa schiava dall’imperatore Carlo V, il Guicciardini così sintetizzava il suo pensiero politico:
“ L’impero non è più legittimo di qualunque altra forma di stato… Solamente legittima è la repubblica , nella propria città e non altrove.”
E i fiorentini, assediati dalle forze congiunte del papa e dell’imperatore, proclamarono Cristo capo della repubblica fiorentina.
Giustamente dunque Mazzini esaltò Dante come primo profeta dell’indipendenza e della libertà d’Italia.”
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