“Scrittore portoghese di lingua inglese” è invece un’altra definizione che, in un’intervista radiofonica, stavolta lo stesso autore ha dato di sé qualche tempo fa. Mi torna utile per giustificare questa escursione in un ambito linguistico diverso dal consueto, visto che normalmente mi occupo di autori che scrivono in portoghese. Il fatto è che in Portogallo il newyorkese Zimler ci vive da oltre vent’anni, e probabilmente il paesaggio che ti circonda ogni mattina al risveglio entra in qualche modo in ciò che scrivi, anche se racconti storie ambientate su Marte. Zimler, in particolare, oltre ad aver ambientato molte delle sue storie in Portogallo, come romanziere è nato proprio da questa parte dell’Atlantico. Il suo giallo storico Il cabalista di Lisbona gli editori americani lo rispedirono per anni al mittente con tanti complimenti. Tradotto poi in 22 lingue (in Italia uscì da Mondadori nel 1997, oggi è fuori catalogo ed è un peccato), quel libro diede i primi vagiti in traduzione portoghese. La storia prendeva spunto da un fatto accaduto proprio a Lisbona: il pogrom del 1506 (oggi ricordato anche da un monumento in una delle piazze più belle e multietniche d’Europa: il Rossio), nove anni dopo la conversione forzata degli ebrei nel regno di Emanuele I, che così si allineava alla folle politica del re di Spagna.
L’atout di Zimler consiste nella sua capacità di costruire trame complesse e avvincenti, per quei lettori che amano farsi “mozzare il fiato”, abbinata a una scrittura mai corriva, che sa toccare svariati registri (“svariava” – facciamola alla Bartezzaghi, non a caso primo recensore di questo romanzo – è anagramma di Varsavia), dal sentimentale al fantastico (nel senso todoroviano del termine), con un occhio per l’infanzia che qualcuno potrebbe dire dickensiano, altri spielberghiano; e poi ambienti e personaggi che cercano lettori attenti e rifiutano il destino di mere funzioni narratologiche per divoratori d’intrecci. Perché il rischio, si è capito, è che finisca negli scaffali della subletteratura alimentare. Ma all’estero son cose che capitano anche a scrittori come Umberto Eco.
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