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Gli anni Settanta e la critica alla crescita economica - parte 1

Creato il 13 maggio 2011 da Howtobegreen

Gli anni Settanta e la critica alla crescita economica - parte 1

Gli anni settanta, la decrescita economica e il mito della crescita continua.
[La contestazione ecologica – contro l’inquinamento dei mari, l’inquinamento dell’aria dovuto ai camini industriali e alle automobili, l’inquinamento del suolo dovuto ai rifiuti solidi, la scomparsa degli animali e delle foreste – ebbe un ruolo importante nella ribellione degli anni Sessanta contro la crescita assurda a forma maniacale (growthmania). Apparve allora che il possesso di beni materiali, macchine, denaro, non ha niente a che vedere con il benessere, la giustizia, la felicità. Il fatto che le società avanzate misurino il progresso attraverso l’aumento del prodotto interno lordo (PIL, indicatore monetario non a caso inventato dall’economista Colin Clark, uno dei critici della contestazione ecologica, secondo il quale la Terra può sfamare quaranta miliardi di persone) implica che si progredisce nello sviluppo soltanto producendo e consumando più merci, e pertanto sfruttando sempre più le foreste, le miniere, il suolo, le acque, e sporcando sempre più i fiumi, l’aria, i mari. Ma con lo sfruttamento e l’inquinamento (la violenza contro la natura e le sue risorse) cresce la disuguaglianza fra i popoli sfruttatori e quelli sfruttati, peggiorano le tensioni internazionali per la conquista delle risorse naturali, energetiche e minerali, che comportano conflitti e crisi economiche] (Nebbia 1986).
Era questo il clima in cui Barry Commoner pubblicò uno dei testi che ancora oggi è considerato un riferimento fondamentale del pensiero ecologista e che probabilmente diede l’avvio all’ecologia politica: The Closing Circle (1972). Osservando come la natura funzioni con cicli chiusi (acqua, ossigeno, carbonio, azoto e fosforo) e come, alimentate dall’energia solare, qualsiasi trasformazione naturale fa sì che la materia rientri continuamente in circolo per venire riutilizzata, così anche le sostanze chimiche estratte dall’aria, dall’acqua e dal terreno ritornano in circolazione in quanto materie prime per altri cicli naturali. Da qui la necessità di “chiudere” questi cicli naturali, che la degradazione ambientale e l’inquinamento hanno contribuito a rompere e ad aprire in maniera decisiva, attraverso l’estrazione di materia ad un tasso più veloce della sua generazione e l’emissione crescente di rifiuti impossibili da assimilare per la natura. Commoner, che tra l’altro è uno dei pochi studiosi a fare continuo riferimento all’economista tedesco Kapp, vede nell’urgenza di interventi tecnico-scientifici e politici l’unica possibile soluzione per “chiudere il cerchio”.
Negli stessi anni, ma con una risonanza indubbiamente inferiore, l’economista H. Daly minava alle fondamenta le radici stesse dell’economia con quella che è conosciuta come la teoria dello stato stazionario, uno dei primi tentativi di formulare un nuovo paradigma e un nuova teoria economica alternativa a quella dominante di tradizione neoclassica, capace di descrivere, analizzare e superare i problemi ambientali moderni. Un’idea non del tutto nuova ma chiaramente ispirata, non a caso, da un famoso economista classico, John Stuart Mill, che un secolo prima di Daly scriveva: “è forse superfluo osservare che una condizione stazionaria del capitale e della popolazione non implica affatto uno stato stazionario del progresso umano. Vi sarebbe altrettanto scopo per ogni specie di cultura intellettuale e per il progresso morale e sociale; ed altrettanto campo di perfezionare l’arte della vita, con una probabilità molto maggiore di perfezionarla, una volta che le menti degli uomini non fossero più assillate dalla gara per la ricchezza. Anche le arti industriali potrebbero essere coltivate con eguale intensità e con eguale successo con questa sola differenza che invece di non servire ad altro scopo che all’accrescimento della ricchezza, i miglioramenti industriali produrrebbero il loro effetto legittimo, quello di abbreviare il lavoro” (Mill 1911).
Breve biografica di Barry Commoner: http://it.wikiquote.org/wiki/Barry_Commoner
Tratto dalla Tesi di laurea di: Nathan Zippo, LA DECRESCITA ECONOMICA

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