In occasione del pronunciamento della seconda corte d’assise di Torino che aveva condannato i vertici della Thissen con una pena esemplare avevo scritto che in tanto dolore era consolatorio un verdetto che condannava l’iniquità di un profitto che uccide per avidità, segnando la storia del diritto e sancendo un cambiamento di sensibilità collettiva nei confronti delle morti bianche.
Con quel verdetto si è stabilito un principio: non è legale uccidere in nome del denaro.
È per quello che ha fatto insorgere una classe imprenditoriale che ben lungi dal sentirsi sola, conferma la sua sintonia con un governo che insieme alla costituzione e alla democrazia sta abbattendo i capisaldi della giustizia, della legalità, della legittimità, dell’equità, applaudendo degli assassini la cui mano è stata armata dall’avidità.
Gli stati generali di Confindustria si svolgevano a porte chiuse. Una riservatezza che non era certo dettata da scrupoli o da vergogna preventiva per qualche intemperanza scaturita dalla preoccupazione che un giustizia “di parte” disincentivi gli investimenti nel nostro Paese. Ma dallo stesso spirito che anima il governo amico, un’inclusione oligarchica che esclude dall’informazione e dalla conoscenza il resto della cittadinanza. E non occorre rifarsi a Kant per riconoscere la qualità lesiva dei diritti in questo atteggiamento perché qualunque azione relativa alle esistenze di altri uomini la cui massima e il cui movente non siano conciliabili con la pubblicità, sono ingiuste.
Ma ai poteri forti si addice essere poco visibili, soprattutto se suscitano tanto scandalo da suscitare indignazione e collera.
E la deve suscitare una classe imprenditrice così ottusa e accecata dalla voracità da credere alle stesse narrazioni menzognere che ci somministra con la complicità di una stampa amirata delle magnifiche sorti e produttive della modernità e della globalizzazione di Marchionne.
E si sono convinti delle loro bugie, di far parte della parte felice della divaricazione radicale tra èlite e popolo, loro proiettati in alto nel grande circuito dei flussi ad ampio raggio e altri ancorati ai loro miseri luoghi e alle loro arcaiche rivendicazioni “immateriali”, garanzie, diritti.
Loro titolari di una ipercittadinanza in un sistema veloce e rapace che rinasce solo la legge del più ricco e quindi più forte, gli altri condannati nei territori inerti e passivi della paura e dell’incertezza.
Loro irridenti dei valori dell’eguaglianza e della giustizia come fossero vecchi attrezzi di sistemi poco dinamici e arretrati, hanno dimenticato il valore e perfino il profitto dell’investire, in qualità, competitività, ricerca e sviluppo, innovazione.
E a forza di piegare la dignità dei lavoratori, hanno dimenticato anche la loro, impegnati ad arraffare rapidamente grazie alla corruzione, all’assistenzialismo, agli accordi sottobanco, alla dichiarata determinazione a non rispettare regole “troppo severe” e troppo poco flessibili ai loro illeciti bisogni.
E hanno dimenticato l’orgoglio di industrie che hanno segnato la storia grazie alla creatività, alla tecnologia, alla bellezza oltre che alla qualità dei prodotti. Non occorre essere Olivetti e nemmeno avere particolare spirito patriottico per sapere che la produttività cresce in presenza di garanzie e diritti dei lavoratori rispettati e soddisfacenti. E che forse è preferibile fare a meno di investitori esteri che scelgono il nostro Paese proprio per indesiderabili primati in materia di trascuratezza delle norme di sicurezza, per la pernicioso inadeguatezza dei sistemi di controllo, per l’inosservanza di standard ambientali.
Sono stati aiutati da un governo tardomedievale a convincersi che la ricchezza dei ricchi è intoccabile, che se ridistribuzione ci deve essere le risorse vanno attinte da noi, tra le briciole di redditi e diritti che non sono ancora evaporati nei circuiti astratti della finanza globale o non sono stati annichiliti dalle loro politiche di accaparramento e di lesione delle garanzie.
Ma se nell’attuale geometria delle passioni un ruolo primario lo gioca ancora l’avidità, forse hanno sottovalutato la potenza della collera, che da lontani e non troppo lontani territori potrebbe spingersi anche qui.