Gli argonauti - parte 5

Creato il 21 maggio 2013 da Giuseppeg

Tibareni, Mossinichi e uccelli dalle piume di bronzo Ed eccoci arrivati a un’altra tappa del lunghissimo viaggio che ha portato gli Argonauti fino ai confini delle terre conosciute. Abbiamo lasciato i nostri eroi all’entrata del Ponto Eusino, l’attuale Mar Nero. Con la nave che ancora ondeggiava per lo spavento delle rocce Simplegadi, i nostri amici si stavano giusto chiedendo che cosa mai li avrebbe aspettati in quelle terre sconosciute. Se lo stavano ancora chiedendo, quando incapparono in un tratto di costa un po’ meno scosceso, l’ideale per approdare un secondo e riprendere fiato.
Mentre stavano gettando l’ancora, sentirono alcuni uomini urlare, e immediatamente pensarono che fosse in corso una guerra. Nulla di più inesatto, però: quando sbarcarono in avanscoperta, si avvidero di essere arrivati in un minuscolo villaggio, il villaggio dei Tibareni, dove gli uomini durante il parto si mettono a urlare come degli ossessi, mentre le loro donne esauriscono la gravidanza senza nemmeno un reumatismo. È questo un complesso maschile, spiegato più tardi dagli psicologi del Novecento, per cui il maschio desidera partecipare al travaglio della propria compagna: molti uomini infatti durante il parto del loro bambino tendono ad accusare improvvisi fastidi e dolori che di somatico hanno ben poco. Gli Argonauti, però, di tutto questo non sapevano nulla. Ragion per cui, prese le scorte che servivano, se ne tornarono quatti quatti alla loro nave.
Ma le loro peripezie non erano affatto finite. Consideriamo che questo racconto è un racconto in itinere, per cui nel corso dei secoli ogni poeta ha sempre aggiunto qualcosa. Si è formata in questo modo una griglia di episodi “equivalenti” o “paratattici”, per cui non esiste una reale successione di eventi, perlomeno non durante il viaggio. Comunque, tornando agli Argonauti, li vediamo approdare un po’ più avanti, presso la terra dei Mossinichi. Erano questi una popolazione molto strana: ciò che pertiene alla sfera privata, loro lo facevano tranquillamente in pubblico - come l’amore, ad esempio, o gli affari di toilette -; tutto il resto invece veniva fatto di nascosto, compresa la spesa, o il lavoro, o le uscite con gli amici. Paese che vai, usanza che trovi. Inutile dire che anche per quella volta gli Argonauti si fermarono solo lo stretto necessario, e si affrettarono a ripartire non appena poterono.
Ma veniamo agli uccelli di Ares. Si deve sapere che in mezzo al Mar Nero esiste un’isola - o ancora meglio esisteva, perché oramai non se ne ha più notizia - in cui gli uccelli hanno le penne di bronzo e, non contenti di riuscire a volare lo stesso, le scagliano addosso agli incauti che si avvicinano da quelle parti. Naturalmente gli Argonauti fecero tappa anche lì, ma al contrario di altri viaggiatori meno fortunati riuscirono a superare indenni anche l’isola maledetta. Come? Molto semplice: metà di loro continuò a remare, mentre l’altra metà aveva unito gli scudi fino a formare un riparo sulle loro teste. A prova di bronzo, ovviamente!
Ma le avventure - per ora - sembravano essere finite: alla loro vista, infatti, nel lembo più lontano del Ponto Eusino, ecco apparire finalmente le tanto agognate coste della Colchide, la loro meta! Lì, da qualche parte, era custodito il Vello d’oro, l’oggetto della loro ricerca. Preparati i bagagli, si apprestarono a sbarcare. Inconsapevoli, ahimè, che il peggio doveva ancora venire. 

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