1. Con riferimento alle nomine in TV, Paragone scrive (Libero del 10 giugno): “Il fanatismo con cui Monti ha affrontato anche questa partita (lo stesso fanatismo con cui ha affidato alla Fornero i progetti di riforma del lavoro, o lo stesso fanatismo con cui si concedono soldi solo alle banche e non alle imprese) è il fanatismo di un professore universitario, consulente di banche d’affari, che mai una volta si è misurato con i prodotti, con l’economia reale. Il combinato di questo fanatismo, comune a quelli come il premier-prof., ha portato alla rovina l’economia reale italiana; la finanza al posto dell’impresa, i manager al posto degli industriali”.
Mi si conceda di rilevare, “professoralmente”, l’errore compiuto nell’ultima frasetta: “i manager al posto degli industriali”; e di ricamarci sopra per qualche riga. Evidentemente, il giornalista pensa agli industriali solo in quanto imprenditori/proprietari; più o meno lo stesso errore del vetero-marxismo, che considerava capitalista il proprietario dei mezzi di produzione (fabbriche e quant’altro). Ci si riferiva evidentemente solo a quello che ho indicato quale capitalismo borghese, entrato in declino già alla fine del XIX secolo e in pratica superato con la prima guerra mondiale; spero si capisca che la sua dissoluzione non significa espropriazione dei gruppi dominanti. Comunque, già 70 anni fa Burnham aveva parlato di rivoluzione manageriale per segnalare il passaggio ad altra formazione capitalistica, quella da me denominata dei funzionari del capitale (che hanno spesso anche la proprietà dei mezzi produttivi, non però elemento decisivo, tanto meno unico, per la loro qualifica di agenti capitalistici). La limitazione della funzione capitalistica ai proprietari è proprio l’errore compiuto dai marxisti all’epoca della Rivoluzione d’Ottobre, trattata perciò quale primo passo di quella mondiale; poiché, una volta esauritasi la funzione della borghesia proprietaria, non si riusciva a pensare a nulla di diverso dal passaggio della “bandiera del progresso” dalle mani di detta borghesia a quelle del proletariato o classe operaia. Errore decisivo per l’impantanamento in teorie e pratiche sempre più fallimentari, foriere della sconfitta decisiva subita dal sedicente “socialismo” verso fine secolo.
I liberali odierni pensano al marxismo con sufficienza come ad una teoria infarcita di errori; e non si accorgono d’essere ancora più vecchi, di non tenere in alcun conto i “prodotti più avanzati” di pensatori spesso in fondo ancorati alle classi dominanti capitalistiche. Basti vedere l’enfasi posta oggi sulla crisi nel suo aspetto finanziario, attribuendo colpe determinanti ai banchieri. Siamo anche in tal caso ad una brutta copia delle tesi marxiane relative alla scissione tra proprietà capitalistica, ormai in mano a meri rentier, dalla direzione dei processi produttivi affidata appunto a manager, lavoratori salariati come gli altri, quindi in tendenziale cooperazione e coordinamento con tutti i salariati in un corpo lavorativo collettivo, “dall’ingegnere all’ultimo manovale” (Marx).
Lasciando comunque perdere la frasetta incriminata, che ho voluto sfruttare per un modesto divertissement, il complesso delle affermazioni contenute nel passo citato non è sbagliato. Salvo il fatto che non ci si chiede se per caso Monti e i sedicenti tecnici non siano stati messi in “quel posto” per coprire le manovre di creazione del disordine di cui ho parlato in un mio precedente pezzo in questo blog. In fondo, come si evince da un articolo di Cervo, sempre nello stesso giornale e nello stesso giorno, si fa finta che Obama potrebbe usare quale “atomica”, per costringere la Germania alla resa, le agenzie di rating, tutte controllate dagli Usa. Solo un gruppo dirigente di sciocchi si farebbe condizionare da giudizi negativi di tali agenzie sulle banche. Certo, questi giudizi sarebbero poi accompagnati da manovre della finanza influenzata dagli Stati Uniti. Il fatto decisivo è che tale finanza è semplicemente l’attore gigione in piena recita, con voce roboante, sulla scena. Il testo è di altro autore e, dietro le quinte, opera chi stabilisce la regia complessiva della scena; il gigione approfitta del palcoscenico per conquistare l’attenzione del pubblico – che si profonderà in lodi o in mormorii di disapprovazione e perfino fischi per lui – ma lo svolgimento del dramma o della commedia seguirà il testo dell’autore nell’interpretazione del regista (“lo stratega”).
La finanza è la maschera dell’azione da compiersi contro il “nemico”; è il guantone che copre il pugno usato per stenderlo al tappeto. Solo un inesperto crederebbe che, in un incontro di pugilato, vince chi ha il guantone più efficace; di un ottimo pugile non si dice che possiede il guantone che picchia duro, cha ha il guantone da KO, bensì che ha il pugno a tal uopo adatto. Così come la finanza, pure il governo Monti è una maschera per coprire lo sfacelo cui deve essere sottoposta la (non) politica italiana – in realtà assente dall’inizio degli anni ’90, dalla truffaldina operazione denominata “mani pulite”, del resto anch’essa solo strumento di ben altre bande in azione da oltreatlantico con l’appoggio dei “cotonieri” confindustriali italiani guidati dalla Fiat – al fine di fare tabula rasa di una poltiglia maleodorante che ha impestato e distrutto il cervello degli italiani in vent’anni.
Tuttavia, non si compie simile operazione per risanare l’ambiente, ma soltanto per inondare di “liquido (infetto)” il terreno italico e renderlo più ricettivo rispetto alle opzioni scelte dagli Usa di Obama, e sempre con l’entusiastico coro dei servi italiani, sia finanzieri che industriali. L’Italia deve essere ridotta a puro canale si scorrimento delle strategie statunitensi verso l’area del Mediterraneo e zone limitrofe nel sud-est. Che cosa possa un domani essere sostituito alle macerie ammassate con simile opera di distruzione non è particolarmente interessante per chi ci comanda e deve usarci come sua pedina pienamente disponibile a qualsiasi mossa egli intenda effettuare. Le macerie non intralciano le scorribande dei nostri “padroni”; tanto più che poco interessa il territorio e molto le basi aeree e, se del caso, navali. E che il popolo sia distratto e impaurito da ben altri problemi, assillanti per la sua vita di tutti i giorni, in modo da non chiedersi cosa mai stiano combinando i gruppi sedicenti politici dediti ad un’accurata opera di devastazione similmente alle “locuste del deserto”, di cui si è qui già parlato.
2. Le elezioni francesi stanno dando dimostrazione che non c’è nulla da attendersi per il momento in una Europa in pappe. Ancora si va alle urne con l’idea che esistano destra e sinistra, che abbiano un qualche senso le loro proposte per uscire dalla crisi assai grave e piuttosto duratura. Essa sarà probabilmente strisciante, conoscerà leggere ondulazioni, ma non tornerà in modo deciso nemmeno la crescita (del “pil”), almeno per quanto riguarda la maggior parte dei paesi; figuriamoci lo sviluppo, implicante trasformazioni della società e della configurazione mondiale dei rapporti di forza tra diverse aree e Stati. Non sto parlando della “rivoluzione socialista” (mi sentirei più rimbecillito che se avessi l’Alzheimer); mi riferisco semplicemente ad un passaggio di formazione sociale della portata di quello verificatosi tra la lunga depressione di fine secolo XIX e la prima guerra mondiale, nell’epoca detta dell’imperialismo, nella fase culturale caratterizzata dalla cosiddetta “crisi dei fondamenti”, ecc.
Nulla da fare, siamo per il momento in surplace. Ed in Europa l’Italia ha una particolare posizione di “privilegio” in senso negativo; per i motivi addotti poco più sopra ed in numerosi altri pezzi scritti da me e dagli altri collaboratori del blog. Non s’intravvede nemmeno un piccolo barlume di comprensione dei caratteri effettivi, di lunga durata, di questa crisi, che significa ormai – per molti paesi, fra cui l’Italia – declino irreversibile dell’autonomia politica e della capacità di giocare un proprio ruolo nella politica di confronto mondiale tra Stati Uniti e alcune altre potenze in crescita. Inutile pensare di intervenire politicamente per una svolta positiva; manca nella “gente” qualsiasi coordinata di orientamento per afferrare un discorso meno che superficiale, del giorno per giorno, dell’ora per ora.
I giornali di “destra” scrivono con malcelata soddisfazione che il governo Monti ha fallito, che è ora di smontarlo, ecc. A mio avviso, ha invece assolto egregiamente il suo compito principale: devastare l’ambiente denominato Casta, ridurre al minimo la credibilità dei partiti avvicendatisi, con nomi vari (ma identica sostanza fatta di “nulla”), nell’ultimo ventennio. Se esso ha altri compiti in vista o se verrà infine sostituito, non sono in grado di dirlo, so però che, dopo questo “diluvio” di apparenti insensatezze, non esiste più alcunché possa servire ad invertire la nostra condizione di asserviti; e nell’assenza di comprensione dei reali motivi del fatto da parte dei più. La popolazione è stata ridotta ad un mucchio di decerebrati, molti arrabbiati, altri impauriti o depressi e scoraggiati; pochissimi in grado di usare il cervello per decrittare le vere mosse di un governo manovrato dagli Usa con la complicità di alcuni personaggi e gruppi dominanti, che si sono a volte avversati fra loro nel condurre a successo l’operazione di completa “devitalizzazione” del nostro paese. Le future mosse degli Usa ammettono in esso (come in altri dell’area mediterranea, e non solo) l’esistenza del massimo disordine e dissesto; basta che non sussista alcuna possibilità di difendere i propri interessi, che sono, in definitiva, quelli della maggioranza della popolazione, poiché una sua certa quota approfitterà ampiamente della situazione di servaggio.
Inutile tentare di compiere miracoli. Si deve cercare di riallacciare i fili tra alcune minoranze irriducibili e interessate ad andare oltre la superficie, oltre la scena calcata dai “gigioni in recita” per conoscere l’autore del testo e la regia che lo interpreta. E’ utile pensare e tentare qualche operazione in tale direzione, a condizione che esistano forze giovani (poche e tuttavia energiche nella loro determinazione). Ed è indispensabile rivolgersi al momento verso gruppi di “élite”. Dove si deve essere chiari su questo termine. Non intendo affatto riferirmi agli “intellettuali” – ormai un ammasso di inutile materia grigia andata a male, in stato di avanzata putrefazione – e nemmeno a persone dotate di una altrettanto inutile cultura a spizzico, un insieme nozionistico di conoscenze usate soltanto per figurare, non certo per capire. Per di più sarebbe anche da discutere sul livello di queste conoscenze; basta fare ogni tanto un giro nelle librerie, così come in internet, per accorgersi quanta reale incultura e non consapevolezza si sia accumulata negli ultimi due decenni (e forse più).
Non interessa il titolo di studio né il tipo di lavoro svolto dai potenziali componenti le élites nel senso da me inteso. Occorre cercare chi usa il cervello per discutere questioni essenziali, essendo in grado di attribuire ordine logico alle argomentazioni, evitando le soluzioni suggerite dai media – e dal ceto intellettuale pervertito – che in molti, in troppi, ripetono pedissequamente nella convinzione di stare “approfondendo i problemi”. Bisogna dar vita a una rete di “club” di libera discussione con la sola discriminante che chi vi partecipa abbandoni le ossificate divisioni ancora oggi in voga: prima fra tutte la discriminante tra “destra” e “sinistra”. Senza, però, furbizie e mala fede; tutti devono abbandonare le vecchie credenze e non fare i furbi per inserirsi “portando in bocca i vecchi ossi”. E vanno presi a calci nei denti coloro che si dedicano al “romanticismo” dei “tempi in cui Berta filava”, oggi una delle ultime trincee di (in)cultura dei nostri “cotonieri”, i quali devono distruggere ogni avanzamento del paese per meglio servire i predominanti mondiali.
Francamente, non mi sembra affatto sufficiente il contatto “elettronico”. I tempi sono molto cambiati, eppure occorrerebbero ancora giovani in grado di girare e tenere una serie di collegamenti, oggi difficili a quanto constato. Comunque, se ne dovrà parlare perché bisogna rendersi conto che, in ogni caso, la fase iniziata circa vent’anni fa con “mani pulite” (semplice strumento, ma comunque da usare come “segnalibro”) è alla fine. Nel caos sempre crescente, è ovvio che al momento il successo (relativo) arriderà a chi approfitta del dissesto culturale e politico operato nei due decenni trascorsi con fortissima accelerazione a partire dal 2011. Non si cerchino quindi immediati riscontri tra le “masse”; lì agiranno nel breve periodo i dissolutori, i “casinisti”, quelli che pensano di disfare e rifare il mondo in quattro e quattr’otto; e anche coloro che credono alle rivoluzioni “colorate”, o di “Piazza Tahrir”, ecc. organizzate tramite twitter e facebook.
Non insisto adesso sull’argomento, proprio perché credo alla necessità di incontri; non semplicemente organizzati da questo blog, che ha poche forze e soprattutto un orientamento piuttosto definito, ma aperto ad un ventaglio sufficientemente ampio. Ripeto che devono spuntare piccoli gruppi di élites con giovani disposti a darsi da fare come facevano un tempo i giovani….di quei tempi; senza però le divisioni politico-ideologiche di allora. E non perché le ideologie siano finite, una delle più grossolane idiozie di questi tempi di mediocrità; semplicemente perché quelle di una volta non macinano più e si devono trovare nuovi orientamenti, che saranno nuove ideologie. Una rete di “club” di discussione, formata dalle suddette élites, sarebbe veramente un discreto inizio.