Ovvero, il Gruppo Albatros chiede soldi agli esordienti per non finire in bancarotta (ma intanto si pubblicizza su Canale 5).
La disinformazione è tornata a colpire. Troppo bello per essere vero, pensavo fosse andata in vacanza. A diffonderla è Argeta Brozi, autrice pubblicata dal Gruppo Albatros. Argeta se ne esce dicendo “C’è chi chiede l’acquisto di copie (giusto per non andare in bancarotta, visto che si è esordienti, non si è famosi e soprattutto non ci sono tanti lettori in giro)”. Come detto prima, Argeta è pubblicata dal Gruppo Albatros, che fino a qualche settimana fa abbiamo visto con lunghi spot su Canale 5. Dunque, i soldi per andare su Canale 5, più e più volte al giorno li ha; per pubblicare gli esordienti no.
Un ragionamento che non fa una grinza. Fa inorridire il fatto che si dica che il compito dell’autore è comprare le copie del proprio libro e rivenderle. Sono stupidaggini: il compito dell’autore è scrivere e collaborare con l’editore, non diventare un venditore porta a porta per contratto.Editori come Casini – gratuito – che realizzano siti web dedicati ai propri libri, li pubblicizzano con brochure e quant’altro cosa sono, alieni? Ce ne sono tanti come Casini. Il lavoro che ha fatto con la saga di Amon (di Paola Boni, scrittrice emergente) lo ha fatto con tanti altri libri. Sono lavori che i piccoli e medi editori NON a pagamento fanno quotidianamente. Pubblicizzano, promuovono, fanno di tutto per portarli in libreria; e sapete perché? Perché sono i loro soldi quelli che rischiano, e dunque devono necessariamente rientrare nelle spese. Però, ciononostante, lo fanno, rischiando – loro sì – di andare in bancarotta. Pensate siano pochi? Ebbene, avete preso una grossa cantonata.
L’editore a pagamento – di norma – non fa altro che prendere il vostro libro e stamparlo. Fine. Non lo legge nemmeno. E ne ho le prove, che vi fornirò tra un paio di mesi, entro fine anno al massimo.L’altro giorno, a Forum, c’è stata una ragazza che ha portato lì il suo datore di lavoro perché questo voleva pagarla per il 30% in denaro e col 70% di merci prodotte dalla propria azienda. Indovinate qual è stata la sentenza? Il giudice ha detto che non è concepibile che un dipendente si assuma il rischio d’impresa della propria azienda, andando a vendere al posto dell’azienda stessa le merci prodotte.Vedete qualche analogia?
Datemi una mano. Condividete questa nota, riscrivetela, l’importante è che si contrasti in ogni maniera quest’assurda disinformazione che DEVE essere sradicata.