Gli effetti dell’acqua su Marte

Creato il 15 ottobre 2015 da Media Inaf

Mentre nuove prove rendono sempre più solide le possibilità di trovare acqua allo stato liquido su Marte, rimane il fatto che ad oggi il pianeta rosso si presenta a noi freddo e arido. Tre miliardi di anni fa, tuttavia, la situazione doveva essere molto diversa. Gli studi condotti da due team internazionali ci svelano qualche informazione in più su questo affascinante pianeta.

Nel 2012 il rover Curiosity della NASA ha inviato a Terra delle immagini che non lasciavano dubbi circa la presenza di acqua sulla superficie di Marte in epoche passate. Una serie di ciottoli tondi e perfettamente levigati suggerivano infatti la presenza di letti di fiume, lungo i quali queste rocce dovevano essere state trasportate e rimodellate durante il viaggio.

Per Douglas Jerolmack, geofisico presso l’Università della Pennsylvania, e il suo collaboratore Gábor Domokos, un matematico dell’Università di Tecnologia ed Economia di Budapest, le scoperte di Curiosity avevano sollevato una questione geologica fondamentale: è possibile utilizzare solo la forma di una pietra per interpretarne la storia, che si tratti di Marte, la Terra o qualsiasi altro pianeta? In uno studio apparso di recente su Nature Communications, Jerolmack, Domokos e colleghi presentano un metodo per stimare quantitativamente la distanza percorsa dai ciottoli di fiume a partire dalla loro forma.

La presenza di ciottoli arrotondati su Marte è la prova della presenza di acqua nel passato del pianeta. In un recente studio, i ricercatori hanno analizzato la forma dei ciottoli ricavandone informazioni sulla distanza da loro percorsa lungo il letto del fiume. L’analisi suggerisce un percorso di circa 50 km, ennesima prova a favore di un ampio sistema fluviale sulla superficie marziana. Crediti: NASA/JPL-Caltech/MSSS

Le rocce che scorrono lungo il letto dei fiumi cambiano forma a causa dell’abrasione contro altre rocce, a poco a poco perdono massa e assumono una forma più arrotondata e liscia. Le teorie più accreditate legano la storia del trasporto di un sasso alla massa persa a seguito delle collisioni. Ma non abbiamo a disposizione dati di massa per i ciottoli marziani, perciò i ricercatori si sono posti l’ambizioso obiettivo di determinare la massa persa da un ciottolo basandosi  esclusivamente sulla sua forma.

Il lavoro di Domokos ha dimostrato che, quando due corpi di dimensioni simili collidono, il modo in cui influenzano la forma l’uno dell’altro può essere ridotto ad un problema puramente geometrico, indipendentemente dal materiale di cui sono composti o l’ambiente in cui si stanno muovendo.

I ricercatori hanno testato questa teoria in laboratorio, facendo rotolare frammenti di calcare in un contenitore e registrando periodicamente i loro cambiamenti di forma e la perdita di massa. Quindi i ricercatori si sono spostati lungo un fiume di montagna a Puerto Rico, seguendo per centinaia di metri le rocce, fermandosi ad estrarne e analizzarne svariate migliaia. In entrambi i casi il modello di cambiamento di forma delle rocce ha seguito fedelmente la curva teorica

Forti dei risultati ottenuti in laboratorio e sul campo, gli scienziati si sono spostati su terreni extraterrestri. Utilizzando le immagini pubbliche dei ciottoli di Marte scattate dal rover Curiosity, il team ha eseguito un’analisi sulla loro forma. Applicando i loro modelli e apportando una correzione per tenere conto della ridotta gravità marziana, sono arrivati ​​a stimare che i ciottoli si trovavano a circa 50 chilometri dal loro punto di partenza.

Jerolmack ha osservato che lo studio non è entusiasmante solo per ciò che implica sulla geologia di Marte, ma per il fatto che apre una nuova gamma di possibilità per quantificare ciò che fino ad ora poteva soltanto essere descritto qualitativamente.

Un altro argomento a favore della presenza di acqua liquida nel passato di Marte è l’estesa rete di valli presente sulla sua superficie, ma la fonte di quest’acqua non è ancora nota. Un team di ricercatori della Penn State University e della NASA ha utilizzato dei modelli climatici per capire se un riscaldamento del pianeta dovuto all’effetto serra potesse essere una risposta possibile.

Nel 2014, il gruppo guidato da James Kasting, professore di Geoscienze presso la Penn State, ha proposto un modello climatico che mostra Marte riscaldato da una densa atmosfera composta da gas serra, in particolare anidride carbonica e idrogeno. In un articolo uscito recentemente sulla rivista Icarus, riferiscono di aver determinato con buona probabiltià un’alta concentrazione di idrogeno nell’atmosfera.

Per ottenere un’alta percentuale di idrogeno nell’atmosfera occorrono flussi di materiale vulcanico causati dalla tettonica a placche. Tuttavia, i ricercatori ritengono che, mentre ci sono alcune prove che Marte abbia sperimentato in passato la tettonica, questa teoria rimane ad oggi controversa.

Un’ipotesi alternativa afferma che l’intenso bombardamento di asteroidi sulla superficie di Marte potrebbe aver portato ad un riscaldamento temporaneo, causando la condensazione di vapore e la formazione di precipitazioni. Tuttavia, le stime indicano che questo processo avrebbe prodotto meno di 500 metri d’acqua, mentre per formare il Grand Canyon ce ne sono voluti svariate migliaia di metri, stando alle stime di Kasting e colleghi.

I dati raccolti da Curiosity suggeriscono anche la presenza prolungata nel tempo di grandi quantità di acqua nel Gale Crater. Secondo Natasha Batalha, studentessa laureata della Penn State che ha collaborato allo studio, alcune prove dimostrano che l’acqua sarebbe rimasta su Marte per decine di milioni di anni, e sarebbero a favore dell’ipotesi di un riscaldamento della superficie, anziché della teoria degli impatti.

«Se da un lato Curiosity non ha potuto provare direttamente la nostra ipotesi di un’alta concentrazione di idrogeno in atmosfera, dall’altro i dati indicano milioni di anni di temperature elevate, il che richiede comunque la presenza di idrogeno perché non siamo in grado di creare quel calore in altro modo. Qualunque altro meccanismo serra fallisce nei nostri modelli», ha aggiunto Batalha.

Fonte: Media INAF | Scritto da Elisa Nichelli