Gli eventi che hanno portato alla fine di nostro padre

Creato il 12 luglio 2012 da Straker
E' il mese di marzo 2005, allorquando noto che mio padre ha un leggero tremore alla mano sinistra. Tremore che si accentua in stato di agitazione. Da qualche tempo il suo atteggiamento caratteriale mostra cambiamenti improvvisi, passando dallo stato di apatia e depressione ad improvvisi attacchi d'ira. Decidiamo di farlo sottoporre ad una visita specialistica, cosicché prendiamo appuntamento tramite la A.S.L. sanremese. Gli viene prenotata una TAC (Tomografia Assiale Computerizzata) ed una visita dal neurologo. Dall'esame della TAC la diagnosi è Parkinson in fase iniziale. La visita, svolta in mia presenza, conferma, secondo il neurologo, gli accertamenti della TAC. Ovviamente, da non esperti, ci fidiamo della diagnosi, anche poiché i sintomi sembrano proprio quelli del Morbo di Parkinson. Il fatto è che, solo anni dopo, di fronte al precipitare improvviso della situazione, nel settembre/ottobre 2010, cominciamo ad avere dei dubbi sulla reale patologia da cui è affetto nostro padre ed una ricerca sui tumori cerebrali (svolta di fronte all'impellente necessità) ci porta ad una conferma evidente, in quanto molte neoplasie del cervello provocano sintomi assimilabili al Parkinson. Ma i neurologi avrebbero dovuto sapere ciò, dato che che hanno visto le immagini TAC ed eseguito le visite al nostro papà! Fatto è che, nonostante ogni sei mesi si eseguisse un controllo medico, affidato di volta in volta da un neurologo diverso, operante nel centro ospedaliero sanremese, nessuno ha mai avuto un solo dubbio ed anzi... si stupivano della relativa stabilità della malattia, giacché l'abilità motoria restava, almeno sino alla fine del 2009, del tutto identica allo stato della prima visita nel 2005. Ad ogni controllo era presente anche chi scrive, per cui posso testimoniare che i neurologi della A.S.L. sanremese si complimentavano ogni volta col mio povero papà, poiché a loro dire, la malattia non evolveva, ma rimaneva sostanzialmente come in una fase inziale. Il trattamento medico permane quindi lo stesso del primo momento: madopar a pranzo ed a cena.
Nel mese di agosto 2010 nostro padre, già da diverso tempo afflitto, come si diceva, da crisi depressive e scatti d'ira improvvisa, sembra peggiorare e chiede una visita neurologica anticipata, rispetto al classico controllo semestrale, così, anche questa volta, lo accompagno. A visitarlo è la Dottoressa Agnese Pisu, la quale, dopo aver eseguito un controllo motorio ed una serie di test cognitivi, prescrive, inspiegabilmente, antidepressivi. Inutile dire che, viste anche le controindicazioni e gli effetti collaterali dei farmaci prescritti, non assecondiamo i consigli della dottoressa Pisu e decidiamo, di comune accordo con nostro padre, di non fargli assumere quei farmaci.
Nel mese di settembre la situazione precipita. Mio padre inizia ad avere difficoltà di deambulazione e cade diverse volte, anche da seduto. Ha problemi di orientamento spaziale, incubi ed allucinazioni notturne. Se fino a dieci giorni prima era in grado di giocare a bocce, ora resta lì seduto e si tocca preoccupato la gamba, lamentandosi che "non la sente". Il medico di famiglia, dottor Flavio Ruggeri, ritiene che potrebbe essere solo un problema temporaneo, dovuto, magari, ad uno stato post-influenzale e consiglia di aspettare una decina di giorni, in attesa che i sintomi diminuiscano o scompaiano. Purtroppo di lì a pochi giorni nostro padre si ritrova quasi completamente inabile ad alzarsi ed a deambulare.
Decidiamo di portarlo al pronto soccorso, ma giacché si muove a fatica, il trasporto in ambulanza viene compiuto dai volontari della Croce Rossa, che lo caricano su una sedia e lo trasportano, di peso, per due piani di scale. L'attesa al pronto soccorso dura in totale 32 ore. Questo prima che si veda un solo medico per una visita, che poi si conclude con il classico test del martelletto sul ginocchio. Il neurologo che lo visita è il Dott. Guido Marongiu (Neurologo). Il mio papà viene rimandato a casa. Diagnosi: Parkinson in fase avanzata. Gli prescrivono inoltre un altro set di farmaci antiparkinson.
Passano pochi giorni e papà peggiora. La notte cade dal letto, in preda alle allucinazioni ed al disorientamento spaziale. Papà urla: "Aiutatemi!" Pensiamo ad una reazione per i nuovi farmaci prescrittigli che, tra gli effetti collaterali, indicano le allucinazioni. Ma ci sbagliamo: è il tumore. Richiediamo di nuovo l'intervento dell'ambulanza ed al Pronto Soccorso ci dobbiamo imporre per fargli eseguire una nuova TAC, poiché il medico di turno insiste con l'affermare che si tratta di Parkinson in fase terminale (come spiegato nel libro). La dottoressa Silvana Scolari, dopo aver analizzato le immagini della TAC, afferma che il nostro papà è affetto anche da meningioma cranico. Chiediamo ed otteniamo il ricovero per ulteriori accertamenti, poiché la diagnosi non ci convince, giacché tale patologia non corrisponde ai sintomi riscontrati. Parlando con la Scolari, faccio notare che i sintomi non sono quelli del Parkinson, ma ella insiste con l'affermare che il Parkinson è evidente, tanto che i farmaci a base di dopamina gli vengono somministrati anche durante il ricovero sia a Sanremo sia a Bordighera. Solo a Rozzano gli vengono tolti completamente, avendo accertato che il papà non ha mai sofferto di Parkinson, ma che, nel 2005, aveva un glioblastoma IV in fase iniziale non diagnosticato.
Mio padre è ricoverato quindi il 29 ottobre nel reparto di Neurologia dell'ospedale di Sanremo, in seguito ad un presunto, come si diceva, aggravamento del Parkinson. Per motivi incomprensibili vengono somministrati anticoagulanti, benché i medici siano avvertiti (è segnato nel registro di ricovero) che mio padre ha sofferto di ulcera duodenale melene, con il risultato che il giorno successivo al ricovero, a causa di un'emorragia, ha bisogno urgente di trasfusioni. Nei giorni successivi gli vengono somministrati, all'insaputa dei parenti, degli psicofarmaci con effetti devastanti: incapacità di parlare, sonnolenza, senso di stordimento, stato confusionale... E' il Dottor Franco Traverso che lo ammette seraficamente. Egli mi riferisce: "Questa notte ha lanciato un bicchiere... dava fastidio ai pazienti". Su mia insistenza, decide di sospendere, sia pure con poca convinzione e con evidente disappunto per la mia interferenza, il trattamento. Intanto, a causa della degenza che si protrae senza l'uso di un materasso anti-decubito, mio padre comincia a subire la formazione di una lesione nella regione osso-sacrale, della quale veniamo a sapere solo in seguito, a Rozzano [1].
La permanenza nel reparto è poi contrassegnata da condizioni igieniche molto scadenti (zanzare, pavimenti, tavolini, bagni sporchi...), da trascuratezza di quasi tutto il personale infermieristico. Per una visita "specialistica" (su nostra insistente richiesta) mio padre viene portato a Pietra Ligure dove il medico si limita a dare un'occhiata da lontano al paziente sulla barella (nel corridoio): mio padre già accusa dolori lancinanti al coccige, dolori acuiti, durante il viaggio in ambulanza, dalla superficie dura della lettiga. Rimandato nel reparto (la TAC prevista non viene più eseguita), viene dimesso con una diagnosi errata di meningioma cranico e con una grave emorragia melene in corso, di cui i familiari non vengono informati. Ciò, una volta riscontrato che il nostro papà perde ancora sangue insieme con le feci, ci costringe a richiedere nuovamente l'intervento della Croce Rossa. Nostro padre, quindi, passa altre ore di calvario al Pronto Soccorso di Sanremo, dal quale viene poi trasferito, in tarda serata, verso il nosocomio di Bordighera, reparto Chirugia, il cui primario è il Dottor Matteo Scrivia.
Qui lo stato generale di nostro padre peggiora ulteriormente e si richiedono altre trasfusioni (tre sacche di plasma erano state già somministrate a Sanremo). Anche qui il paziente viene sedato, tanto che la mattina dorme e non si riesce a nutrirlo, poiché si addormenta con il cibo in bocca. Gli effetti dei sedativi scemano nel pomeriggio, mentre al mattino ritrovo nuovamente mio padre in stato di semiincoscienza e questo conferma che gli venivano somministrati farmaci sedativi, nonostante i responsabili ora neghino questa circostanza. Inoltre papà accusa problemi seri nel degluttire (il cibo entra nel canale respiratorio), tanto da rischiare di rimanere affogato in un paio di drammatiche occasioni.
L'immobilità notturna provoca anche una piaga tra il tallone di un piede e la parte superiore dell'altro, tanto da attaccare i due piedi. Solo a fine ricovero (prima che lo portiamo via a nostre spese, verso Rozzano), gli viene fornito un materassino antipiaghe. Costo dell'apparato: 67 euro. E' un presidio completamente inadatto e inidoneo, tanto che le condizioni della piaga coccigea peggiorano, anche se i congiunti non ne vengono informati, come detto. Tanto per avere un'idea di che cosa sia un vero materasso antipiaghe, il migliore tra i peggiori costa non meno di 868 euro. Oltre a ciò una mattina mi accorgo che il tubo che mantiene in pressione il materasso, collegandolo al compressore, è staccato. Segnalo al personale, che, con serafica tranquillità, si occupa di riattaccarlo al materasso ormai sgonfio, chissà da quante ore...
Il libro "Ho cercato di salvarti".
[1] “La comparsa di una lesione da compressione è sempre espressione di un errore terapeutico da parte di tutta l’equipe sanitaria, medici e infermieri, con tutte le conseguenze giuridiche che ciò comporta. Se si dimostra, e la dimostrazione (per altro non sempre facile) compete al paziente, che esiste un nesso di causalità fra la mancata, insufficiente o sbagliata assistenza infermieristica alla persona e l’insorgenza delle lesioni da decubito, l’infermiere può essere chiamato a rispondere per lesioni personali colpose, ai sensi dell’art. 590 del codice penale“ (L. Benci).
Il nursing nelle lesioni da compressione nel mieloleso

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