A dare la notizia è Blabbermouth, che cita un comunicato di Gary Holt (finora non apparso né sui social network né sul sito ufficiale del gruppo):
“Come band, abbiamo dovuto prendere tutti la difficilissima decisione di separarci da Rob Dukes, nostro cantante da nove anni. Non proviamo null’altro che amore e ammirazione per lui, nonché profondissima gratitudine. Ma al momento Tom Hunting, Lee Altus, Jack Gibson e io abbiamo pensato che un cambiamento fosse necessario e abbiamo deciso all’unanimità di dare il bentornato a bordo a Steve Souza“.
Il ritorno della voce di Fabulous disaster arriva tanto più inatteso se si considera che i californiani erano entrati in studio da un mese per le registrazioni del nuovo album (prodotto, purtroppo, anche stavolta da Andy Sneap). Lo stesso Dukes aveva parlato un mese fa, in termini entusiasti, dei nuovi pezzi, che sarebbero più brevi e diretti dei mattoni da 8-10 minuti che caratterizzavano i due Exhibit. Non riesco davvero a immaginare quali possano essere i motivi di una rottura improvvisa che immagino farà la gioia di molti fan (io mi ero abituato al ciccione, e i tre full di inediti che ha inciso con gli Exodus mi sono pure piaciuti parecchio). Non sono ancora arrivate reazioni ufficiali da Dukes, che al momento del licenziamento si trovava ancora in luna di miele. Salvo questa:
Al netto di eventuali scazzi personali con Dukes dei quali non sappiamo nulla, la mia idea è che il buon Gary, non avendo più tempo di scrivere i suddetti mattoni di 8-10 minuti, intenda cavarsela con un disco per reduci e quindi abbia pensato di richiamare il vecchio ‘Zetro’, che di recente ha dimostrato di essere ancora piuttosto in forma con i suoi Hatriot (che non verranno, però, sciolti). Agli appassionati di dietrologie, ricordiamo che Holt un paio di mesi fa si era recato a vedere la cover band degli Ac/Dc di Souza e lo aveva avvicinato a fine serata per quella che il cantante (il quale reclamava il suo vecchio posto da anni) ricostruì come una “splendida conversazione”. Mah.
Fino a ieri gli Exodus erano tra i pochissimi grandi nomi degli anni ’80 che si erano riuniti in modo credibile, trovando il giusto bilancio tra evoluzione e fedeltà alle proprie radici. Gary Holt scrive troppo bene perché la probabile operazione nostalgia fallisca e non possiamo ancora trarre troppe conclusioni. Però, così d’istinto, non mi viene di stappare lo champagne.