ma io non ho bisogno di un orologio
se solo avessi animali e almeno un cammello
passerei le notti nel deserto per tornare nella magica Timbuktu….
(capo Tuareg)
“ I Tuareg” i leggendari uomini blu, gli ignoti del deserto, guerrieri e predoni temutissimi, sono un popolo di stirpe berbera, prevalentemente di stirpe nomade e presente in tutto il Sahel, Algeria, Libia, Mauritania, Mali e Niger. Sono i discendenti della più antica popolazione di bianchi che si sia stabilita in Africa.
Forse i Tuareg abitano queste terre dalla preistoria.
Forse sono giunti in epoche remote dallo Yemen.
Il nome “ uomini blu” è dovuto al fatto che sono soliti coprirsi il volto con un velo blu che spesso tinge, lasciando sulla pelle chiara, perchè sono berberi, un alone bluastro.I Tuareg portano un velo sulla testa di colore diverso rispetto alla casta da cui provengono: indaco per i nobili e ricchi, nero per la gente comune e bianco per i servi e per gli schiavi. Gli uomini della
comunità hanno imparato a mangiare e a bere senza togliersi la tagelmust (il velo), che è d’obbligo, mentre per le donne è necessario un velo che copre solo la testa.
I giovani, abitualmente, si rasano la testa, mentre gli adulti, maschi e femmine, portano i capelli lunghi e intrecciati. Gli uomini, tradizionalmente, fanno crescere la barba ma sono privi di baffi, le donne curano l’estetica della pelle usando belletti e ocra rossa a scopo protettivo.
Sono di razza e lingua berbera; possiedono una forma di scrittura utilizzata solo per redigere iscrizioni : il Tifinar, in cui l’alfabeto è composto di sole consonanti e le singole parole, non separate, si possono scrivere orizzontalmente e verticalmente, da sinistra a destra e da destra a sinistra o anche dall’alto in basso e dal basso in alto.
Oggi le tribù Tuareg che vivono a Nord mantengono le caratteristiche somatiche primitive (pelle chiara ed alta statura), nelle terre meridionali, invece dove sono stati allacciati costantemente i contatti con le popolazioni nere, presentano un colore di pelle più scura. I nomadi utilizzano tende di pelle tinta di ocra rossa, dalla caratteristica forma semisferica e capanne trasportabili, fatte di stuoie disposte su un’ intelaiatura intrecciata di rami, con i quali fabbricano abilmente anche l’armatura delle tende e bei letti funzionali.
L’organizzazione della loro società è molto complessa ,sono divisi in tribù e in caste; i nobil,i che un tempo erano guerrieri e predoni e riscuotevano le tasse dai vassalli, ci sono poi gli schiavi, sottomessi dalle guerre, che lavorano la terra.
La schiavitù, presso i Tuareg, è molto diversa da quella che conosciamo noi: gli schiavi dei Tuareg vengono ereditati dalla famiglia, ma la loro condizione è simile a quella dei figli; essi possono sposare Tuareg di altre caste ed anche cambiare padrone. I matrimoni misti fanno si che siano sempre più numerosi i Tuareg di pelle scura e sempre meno quello con i caratteri tipici dei berberi.
Infine ci sono i fabbri (inad) che formano un gruppo a parte e conoscono le cose più importanti: le tecniche per lavorare i metalli ed il legno ed hanno il compito importantissimo di tramandare oralmente la storia e la cultura .
I Tuareg praticano l’allevamento ed il commercio e fabbricano armi ed oggetti di pelle, portano costantemente il velo nero o bianco, arrotolato in ampi giri intorno al capo ed al viso, lasciando intravedere solo gli occhi. Il velo sul volto, utilissimo a ripararsi dalla finissima sabbia del deserto che penetra dappertutto, viene portato soprattutto per motivi magico-religiosi; le vesti con l’ampio mantello ed il velo sono tinte con l’indaco che lascia sulla pelle una colorazione azzurrina che li ha fatti denominare uomini blu.
Nella vita di un Tuareg non ci sono molte cerimonie ed i riti sono molto importanti; tutto nella vita di questa gente tiene conto della necessità di spostarsi; sui loro veloci cammelli da sella, i famosi mehari, sono in grado di percorrere grandi distanze nel deserto, spostandosi da un pozzo all’altro: a volte ciò comporta parecchi giorni di viaggio. Nel passato possedevano il monopolio dei trasporti transahariani e attraversavano il deserto con immense carovane formate anche da più da più di 25000 cammelli; il fiorire del loro commercio dipendeva soprattutto dalla presenza nel Sahara di risorse di sale, molto richiesto nelle terre più a sud.
Nell’Africa centrale le carovane portavano sale e datteri che venivano scambiati con prodotti di valore: nel viaggio di ritorno si portavano stoffe, miglio, zucchero, ma anche avorio, oro e schiavi.
Da quando sono stati tracciati confini di Stato attraverso il deserto, i Tuareg non possono più spostarsi liberamente , e molti diventano sedentari. I nobili, non potendo più riscuotere le tasse, sono ridotti in povertà. Anche il capo amenokal, che un tempo decideva ogni aspetto della vita della comunità, dall’uso dell’acqua al numero di figli e che amministrava la giustizia, ha oggi un potere quasi solo simbolico. Le tribù sono costrette a spostarsi senza poter accumulare la produzione delle annate buone per utilizzarla nei periodi di maggiore siccità; vivono così alla giornata, quando i pascoli impoveriscono, gran parte del bestiame muore rendendo, precaria la sopravvivenza di tutto il gruppo.
Quando negli anni sessanta gli stati africani hanno ottenuto l’indipendenza ed hanno fissato i propri confini disputandosi il deserto palmo a palmo, è iniziato il dramma di questo popolo privato dai suoi diritti. I governi non tollerano la libertà dei Tuareg che non rispettano le frontiere e che non accettano di essere inquadrati con documenti personali di nazionalità precise. E’ così iniziata per i Tuareg una diaspora che ha portato molti a vivere in Algeria ed in Libia; durante queste migrazione, i loro cammelli, le loro capre sono state sterminate dalle forze governative del Mali.
Adattarsi alla vita fuori dal deserto è duro e molti Tuareg, abbandonando i dettami islamici, incominciano a bere birra o a far uso di stupefacenti, marijuana ed hashish usati fino ad ora solo come piante medicamentose. Le condizioni di vita sono sempre più difficile, metà dei bambini muoiono di morbillo o di febbre gialla, le donne di parto, la siccità decima il bestiame, ma essi non accettano di dimenticare la propria identità culturale.