Succedeva una volta che se imprudentemente andavi a cena con un editorialista di repubblica, lui, per sedurti, passasse tutta la sera a illustrarti il pezzo del giorno dopo, con l’unico effetto che la mattina dopo leggevi il Corriere rifiutavi un secondo invito. I tempi sono cambiati, opinionisti e commentatori hanno ben altro palcoscenico per la loro divistica autoreferenzialità.
Effetto certamente di quella che Manuel Castells ha chiamato la trasformazione dello spazio politico in spazio mediatico, e se i media sono diventati i teatri della politica lo sono diventati anche per i suoi testimoni privilegiati che dell’informazione dovrebbero essere gli operatori. Contribuendo a un processo particolarmente ben riuscito nel nostro Paese, la metamorfosi del cittadino partecipante, portatore di interesse e istanze che vogliono essere rappresentate, in individuo spettatore, alla ricerca invece della rappresentazione di una realtà di evasione. Corollari di questo processo è il sopravvento della logica commerciale che esubera dal sistema mediatico invadendo la dimensione politica, l’abnorme personalizzazione della dialettica trasformando i politici in attori e comparse, l’estrema infantilizzazione dei messaggi, lo spazio sempre minore concesso al contenuto delle proposte politiche rispetto al gossip, al sensazionalismo e allo scandalo.
Si tratta delle conferma di una convinzione profetica di Bobbio: la società dominata dai media e dalla televisione in particolare è una società naturaliter di destra. Non si può non esserne convinti anche perché si tratta di un sistema che ha rafforzato la dimensione castale, la rappresentanza identitaria degli “informatori”, vincolante per tutti i sui componenti intenti soprattutto a costruire legittimare e garantire autorevolezza a un’èlite quanto assolvere ai compiti attribuiti loro da una professione strategica per l’interesse generale
Sarà attribuibile a tutto questo il sorprendente stupore dei commentatori di fronte ai risultati elettorali di questa appassionante tornata amministrativa. Spaesati nella realtà quanto hanno dimostrato di esserlo di fronte ai fermenti del Mediterraneo, sembrano paradossalmente la testimonianza della sostituzione dell’homo sapiens con l’homo videns, o forse nemmeno quello perché appartengono a uno spazio ridotto e artificiale, che Sartori definisce locale, non perché si ravvicini la loro comunicazione della politica e degli eventi alla concretezza dei territori ma perché la materialità delle situazioni, del confronto, dei luoghi appunto si scioglie nell’astrattezza della rappresentazione mediatica.
Embedded dei palazzi, di destra o sinistra che siano, gli osservatori non guardano non vedono non ascoltano affidando la loro percezione della nostra percezione ai sondaggisti, fieri di essere ammessi agli “arcana imperii” somministrano soprattutto i segreti la cui rivelazione interessa a qualche abitante più o meno rilevante dell’oligopolio, promuovono fenomeni perché corrispondono agli archetipi cari all’audience, si stupiscono quando la realtà cammina su percorsi sui quali è difficile essere compiacenti. È che sono così incantati per essere stati benignamente accettati nel “nucleo più interno del segreto” dove sta il potere che ne offrono una visibilità illusoria anche quando si usano i trucchetti dei “microfoni aperti”, attraverso la rappresentazione suppostamente gradita agli uni o agli altri. E soprattutto alla loro enclave che riluce del chiarore del potere.
In questi giorni la rottura del patto morale con il pubblico è evidente, fiumi di parole scritte o recitate interpretano paradossalmente pensieri e azioni degli attori sul palcoscenico della politica, invece di capire cosa vuole il grande mondo fuori da teatrino. È proprio il momento di calare il sipario anche su di loro.
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