Che impatto ha il giornalismo? Che cosa significa effettuare una misura dell'impatto del lavoro giornalistico? Quali le ragioni per farlo? Quali i metodi? LSDI propone la traduzione di un articolo molto interessante di Jonathan Stray del Nieman Journalism Lab. Di seguito vi propongo i brani salienti con delle note personali che mi piacerebbe fossero integrate e discusse.
- [O come] Ethan Zuckerman spiega in un suo interessante post su metriche e impatto civile, "misurare quante persone leggono un articolo è qualcosa che ogni amministratore di rete dovrebbe essere in grado di fare. Ma audience non è la stessa cosa di impatto''. Non solo, in qualche caso non è detto che un pubblico più ampio sia una cosa migliore: ma potrebbe non essere sempre utile che si tratti di un pubblico ampio, per alcune storie potrebbe essere meglio avere un pubblico particolare ma in un determinato momento.
- Nell' era pre-Internet, non c'era modo di sapere cosa accadeva ad un articolo dopo la sua pubblicazione, e la questione sembra essere stata, per molto tempo, per lo più ignorata. Chiedersi se ci siano stati degli effetti insinua l' idea che il compito del giornalismo non sarà completo fino a quando una notizia non avrà cambiato qualcosa nei pensieri o nelle azioni di chi l' ha letta.
Non sto dicendo che ogni media dovrebbe preoccuparsi, sul piano industriale, del monitoraggio di come evolve la conoscenza pubblica. Questo è solo uno dei tanti modi possibili per definire l' effetto del giornalismo, ma potrebbe avere senso solo per certi servizi, e farlo regolarmente comporterebbe la creazione di strumenti alternativi e a basso costo alle grandi istituzioni di ricerca pubbliche. Ma credo che sia utile lavorare su quello che sarebbe necessario. Il punto è definire il successo del giornalismo sulla base di quello che fa il cittadino, e non sulle esigenze dell' editore.
NOTA: Fausto Pellegrini, riporta nel suo libro La bisaccia del giornalista (qui la "colonna sonora"), la definizione di notizia: una notizia è tutto ciò che cambia lo status quo del mondo in cui si vive, viene riportata come tale e trova un contesto, un pubblico, che come tale la riconosce. Pellegrini, poi, dimostra come la scelta di quello che si deve pubblicare, l'oggetto dell'informazione inteso anche come elemento/oggetto dell'agenda setting, non sia sempre guidata dallo spirito di servizio che l'editore/giornalista dovrebbe avere; si tratta di una dinamica che già conosciamo, nella quale siamo già immersi, in cui l'esigenza dell'editore è quella di fabbricare un consenso a favore del padrone di turno.
La notizia dovrebbe essere una denuncia e, quindi, produrre a sua volta un ulteriore cambiamento della realtà. Così l'agenda setting avrebbe senso di esistere.
- Non tutti gli effetti devono essere espressi in numeri, e in una varietà di campi si è giunti alla conclusione che le descrizioni narrative sono ugualmente importanti. Si tratta ancora di dati, ma qualitativi (notizie), invece che quantitativi (numeri). Comprendono commenti, reazioni, ripercussioni, gli sviluppi successivi alla notizia, interviste correlate, e molte altre cose che sono potenzialmente significative, ma non facilmente identificabili. La cosa importante è raccogliere queste informazioni in modo affidabile e sistematico, o non si sarà in grado di fare confronti in futuro.
- A volte può essere molto rilevante chiedersi quali siano le scelte politiche in un atto di giornalismo, e l' idea di una assoluta neutralità è quindi una palese contraddizione se riteniamo che il giornalismo sia importante per la democrazia. Poi c' è la convinzione che i media abbiano finito il loro lavoro appena un articolo viene pubblicato. Ma questo significa fermarsi ben al di sotto del lettore e confondere la causa con l' effetto.
NOTA: ancora Fausto Pellegrini dice che il giornalista deve essere di parte e, come strumento del dettato costituzionale, difendere i più deboli.
La partecipazione delle testate, degli autori, alle conversazioni che si sviluppano in Rete, sarebbe un buon metodo per misurare il grado di conoscenza non soltanto dei lettori, ma dell'autore stesso. È infatti la discussione che crea la conoscenza dell'oggetto dell'informazione di tutti gli attori coinvolti.
Il rischio che si corre è di vedere le piattaforme social (Twitter in primis, ma anche Facebook) ancora come megafoni broadcast. La speranza, invece, è di assistere davvero ad un rovesciamento di paradigma in cui, finalmente, anche i cittadini/lettori siano protagonisti ricompensati di una dinamica ancora tutta da esplorare, promuovere e (per l'appunto) misurare. Il Modello Fotovoltaico è una delle possibili strade.
- In generale, una redazione dovrebbe avere una banca dati integrata che collega ogni articolo e servizio con indicatori sia quantitativi che qualitativi di impatto: contenere degli appunti su ciò che è accaduto dopo che la storia è stata pubblicata, insieme alla raccolta di analisi, commenti, link , social media, discussioni e altre reazioni che quel servizio ha generato. Con un insieme così ampio di dati si avrebbe la possibilità di capire non solo di che cosa e come il giornalismo viene fatto, ma anche il modo migliore per valutarlo in futuro. In fondo non è così difficile cominciare. Ogni redazione ha delle forme di analisi dei contenuti e alla fine bastano una serie di note su un foglio di calcolo per monitorare gli effetti qualitativi.
NOTA: Ora si fa riferimento alle visite e, conseguentemente, non sempre si riesce a farsi interpreti di ciò che è importante; si da rilievo soltanto a ciò che interessa (logica, assolutamente non orientata all'impegno civile, del Content MarketPlace). Ecco perchè il Modello Fotovoltaico, prevede che il finanziamento venga concesso soltanto per determinate tipologie di notizia. Il Gossip, per intenderci, non avrebbe diritto al finanziamento (con la bussola dell'impegno civile, quale mai potrebbe essere l'effetto di una notizia di Gossip?).
Immagine: Sidereus Nuncius