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Gli impiegati eav, il contratto di solidarietà e gli abbattimenti selettivi nei parchi naturali

Creato il 06 marzo 2012 da Ciro_pastore
GLI IMPIEGATI EAV, IL CONTRATTO DI SOLIDARIETÀ E GLI ABBATTIMENTI SELETTIVI NEI PARCHI NATURALI
Il contratto di solidarietà è alle porte, cerchiamo di affrontarlo unitariamenteGLI IMPIEGATI EAV, IL CONTRATTO DI SOLIDARIETÀ E GLI ABBATTIMENTI SELETTIVI NEI PARCHI NATURALICi si appresta, con il beneplacito dei sindacati, a dichiarare gli esuberi solo per gli impiegati La caccia, oggi, può avere anche la finalità di gestire la fauna selvatica, ad esempio, per mantenere la popolazione di una certa specie all'interno delle capacità di sostentamento dell'ambiente ecologico nella quale è inserita. In molti paesiguardie forestali ed ecologi partecipano alla scrittura delle norme di regolamentazione della caccia. Si cerca, cioè, di fare in modo che, attraverso la regolamentazione del numero di animali da abbattere, si garantiscano la preservazione complessiva della fauna all’interno di contesti non totalmente naturali perchè, comunque, manipolati dalla presenza umana. Capita, così, e sempre più spesso, che nei parchi cacciatori e guardie forestali vengano impiegati per riportare al normale equilibrio le varie specie. Ovviamente, gli animalisti integralisti sono contrari a tale tecnica, considerando inaccettabile tale pratica, qualsiasi ne sia la finalità. La tecnica resta, così, controversa ma nonostante la dura opposizione degli animalisti continua ad essere messa in atto.Ma perché vi parlo di abbattimenti selettivi in riferimento agli impiegati del Gruppo EAV? Semplice, perché, in maniera nemmeno poi tanto metaforica, l’Azienda si appresta a mettere in atto questa pratica crudele a danno della “specie non protetta ” degli impiegati. Non protetta perché priva di una benché minima difesa, anche da parte sindacale, come appare sempre più palese, purtroppo. Il contratto di solidarietà si sta per abbattere come una mannaia sulla categoria impiegatizia, come più volte avevo ampiamente anticipato nei mesi scorsi (vedasi i miei molteplici interventi in merito).Qualche sindacato ha emanato comunicati in cui si addebita questa soluzione alla mera volontà aziendale. Peraltro, con l’intento evidente di non provocare le anticipate e, probabilmente,incazzatissime reazioni degli impiegati, li ha eufemisticamente definiti “lavoratori indiretti”, così da rimanere nel vago. Questo termine, però, di per sé stesso accetta, anche se solo implicitamente, il concetto che (impiegati e categorie assimilabili) siano dei lavoratori che, nel processo di erogazione del servizio di trasporto, hanno una funzione di supporto, secondaria, tutto sommato non essenziale, diciamo pure superflua. Ovviamente, in quei comunicati ci si proclama “a parole” contrari ad “accettare a scatola chiusa ragionamenti che non partono dalla reale organizzazione del lavoro e dai programmi di esercizio”. Nella sostanza, però, si apre esplicitamente ad una possibile trattativa che riguardi soltanto gli indiretti (alias impiegati), preservando ruolo e livello retributivo dei “diretti” (macchinisti, capitreno, ecc.). Come non parlare, allora, di abbattimenti selettivi?Per correttezza, bisogna ammettere che tra gli impiegati gli esuberi ci sono. Ma da cosa sono causati? Sicuramente, negli anni l’organico impiegatizio non è stato sfoltito come era lecito attendersi. Innovazione tecnologica, riduzione complessiva degli organici ed estese esternalizzazioni di molte attività, dovevano portare ad una progressiva riduzione del numero degli impiegati. Tutto questo non è accaduto, in parte per la passiva acquiescenza degli impiegati stessi che mai si sono opposti ad operazioni di infoltimento non necessarie, se non addirittura dannose. Tipico esempio di questa dinamica è stato il rapido passaggio di giovani (entrati nelle aziende grazie al padre-figlio) i quali, dopo brevissima sosta nei reparti operativi, anche grazie alle loro capacità professionali, sono presto confluiti nelle già troppo numerose truppe impiegatizie. Ma chiediamoci, senza ipocrisie, chi siano stati i reali fruitori di questa scellerata ipertrofia amministrativa. Pur ammettendo che è umana e logica aspirazione di ogni lavoratore migliorare le proprie condizioni economiche e di vita quotidiana, si deve, anche, denunciare che aumentare a dismisura il peso degli amministrativi sull’organizzazione del lavoro non è stato un evento a solo vantaggio dei “beneficiati” stessi. Svuotare gli organici di certe categorie ha consentito, ad esempio, nei tempi delle vacche obese, di continuare a poter partecipare all’allegro banchetto dei doppi turni e dei riposi compensativi, facilitato anche da una forza insufficiente a coprire turni fin troppo generosi, per non dire altro. Turni che, ancora oggi, non brillano per la capacità di saturazione degli stessi, visto che, in molti casi, il reale apporto lavorativo arriva, a mala pena, a coprire il 50% della durata teorica di un turno. A ciò si aggiunga, poi, la necessità del sindacato di “tutelare”, con particolare entusiasmo, le carriere dei propri giovani iscritti, adoperandosi fattivamente per spingere in alto risorse, in molti casi meritevoli ma, di fatto, intasando a dismisura la categoria amministrativa. Analogo comportamento, seppure con motivazioni diverse, era dato riscontrare fra i manager che, dall’ingrossamento delle file impiegatizie, hanno ricavato “benemerenze” in ambito sindacale che, poi, in una logica di diffuso “volemose bene”, tornano sempre utili in altre situazioni.Insomma, come si vede, alla fine gli impiegati sono diventati troppi, proprio come i cinghiali dei nostri parchi appenninici. Non di rado capita, e le cronache spesso ne riportano gli episodi, che alcuni capi arrivino a fare scorribande tra i rifiuti delle grandi città, non trovando più nel loro elemento naturale la necessaria quantità di cibo per nutrirsi. In quei casi, come dicevo all’inizio, si deve necessariamente passare agli abbattimenti selettivi. Tale tecnica razionalizzatrice pare stia per essere applicata, con fredda e lucida premeditazione, agli impiegati “esuberanti”. L’applicazione, esclusivamente ad essi, del contratto di solidarietà pare configurarsi come una duplice beffa. Da una parte, infatti, dovranno subire le immediate riduzioni retributive causate del contratto di solidarietà (-25%?) a cui potranno, allo scadere del periodo di durata del contratto, far seguito anche sostanziosi tagli occupazionali. Dall’altra parte, e questo è l’aspetto più paradossale dell’intera vicenda, la decisione di applicare solo ad essi il contratto di solidarietà, indirettamente li indica quali unici responsabili del dissesto economico finanziario di cui altre categorie hanno sostanzialmente goduto maggiormente: cornuti e mazziati.È evidente, invece, che se diseconomie ci sono state (e ci sono state) queste sono state complessive. Nessuna categoria può chiamarsi fuori per diritto di casta. Non occorre essere grandi manager, infatti, per sapere che un’azienda di servizi non è fatta soltanto da chi direttamente la prestazione. Non esiste organizzazione aziendale che possa funzionare, infatti, senza il complessivo apporto di tutte le categorie. Altro discorso, invece, è la indispensabile e improcrastinabile fase di riorganizzazione del lavoro che preveda una ricollocazione maggiormente produttiva di un discreto numero di impiegati, da distogliere dalle oziose ore a cui sono attualmente costretti per essere più proficuamente assegnati ad altre mansioni, magari riportando in azienda interi comparti oggi esternalizzati. Tutto ciò, però, deve passare attraverso un generale incremento della produttività individuale, anche e soprattutto, nelle categorie più propriamente operative. Se si dovesse procedere in questa direzione, si scoprirebbe, probabilmente, che anche le categorie che oggi si ritengono indispensabili, una volta saturati i turni, presenterebbero anch’esse degli esuberi.Per concludere, i tempi sono così difficili che, non mi pare il caso, di affrontarli partendo da un’innaturale e superata distinzione fra lavoratori diretti ed indiretti, con i primi da “tutelare” ed i secondi da “sacrificare”. Se si persegue questa strada, non solo non si fa l’interesse complessivo di queste aziende, ma, probabilmente, si creano le condizioni per lo sfascio totale. Non è difficile preconizzare, infatti, che un’applicazione “partigiana” dei contratti di solidarietà creerebbe un clima di sostanziale collisione fra le singole categorie di lavoratori. Un clima che in breve tempo condurrebbe verso il baratro del caos organizzativo. Mi auguro, invece, un rigurgito di spirito “ecumenico” dei sindacati i quali, messe da parte le spinte integraliste di qualche categoria “privilegiata”, sappiano ritrovare una più equa e condivisibile piattaforma da imporre alla parte datoriale vittima, a sua volta, di una pericolosa deriva dirigista : PICCOLI MARCHIONNE CRESCONO. Ciro Pastore – Il Signore dei Cinghiali (solo per questa volta però eh)leggimi anche su http://golf-gentlemenonlyladiesforbidden.blogspot.com/2012/02/fiamme-gialle-per-te-ho-mandato-stasera.html

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