Gli Inediti: Non voltarti ora di Claudio Vergnani

Creato il 08 marzo 2012 da Alessandro Manzetti @amanzetti

Il Posto Nero continua il suo viaggio alla scoperta di lavori inediti di grandi autori di genere. Dopo aver presentato un assaggio del romanzo inedito Sword in the Darkness di Stephen King, questa volta ho l'occasione di pubblicare un racconto inedito di Claudio Vergnani: Non voltarti ora. Una esclusiva realizzata in collaborazione con l'Agenzia Letteraria Dark Circle. Questo lavoro pulsa di tensione, che non lascia il lettore fino all'ultima riga; l'autore ci conduce in un viaggio surreale dove la paura è dietro di noi, tra le ombre e i riflessi, e insegue senza sosta la nostra immaginazione. Alla fine del viaggio ci specchiamo nei nostri timori più nascosti, che mostrano il loro terribile viso ondeggiare nelle acque. Meglio non voltarsi.
Non voltarti oradi Claudio Vergnani
Pioveva. Era un sabato mattina grigio e freddo; lontano, oltre la linea irregolare dei tetti, si profilava il chiarore del primo sole di primavera.
  Stretti sotto l’unico ombrello, camminavano lungo il viale di ghiaia del giardino pubblico. L’orto botanico esalava l’odore penetrante della terra fradicia; sull’altro lato, nei pressi della giostra, un cane tracciava isterici ghirigori tra le siepi, schiavo dei fantasmi evocati dal suo fiuto. Un tuono, poi un secondo, ancora più forte. Cumuli di nuvole cinerine si inseguivano correndo più veloci dei nostri occhi.
  Sulla pancia della palazzina un grande cartello azzurro gridava “Sassi”; era il titolo della mostra.
 “Lo spettatore inteso come parte della mostra stessa”, questo aveva letto l’amico su un giornale, incuriosendosi nonostante la banalità del messaggio.
  Entrammo.
  “Davvero geniale! – esclamai – L’arte moderna è ormai un prevedibile baraccone: guarda qui, hanno scelto un bigliettaio di pietra!”.
  L’amico aggrottò le sopracciglia e si avvicinò alla statua, una scultura a grandezza naturale collocata di fianco all’ingresso, esattamente dove ci si aspettava di trovarla. Berretto a visiera, blocchetto dei biglietti e espressione stanca; non mancava proprio nulla.
  Lasciammo l’atrio e ci avviammo lungo il corridoio. Il silenzio era rotto unicamente dall’eco dei nostri passi, come un oscuro singhiozzo. Entrammo in una vasta sala. Non c’era anima viva; a parte le statue. Alcune erano sedute sulle panche a osservare i quadri appesi alle pareti, come attenti visitatori; altre erano in piedi, disposte qua e là nel salone. Una riproduceva un uomo che fumava; il fumo della sigaretta, una frastagliata virgola di pietra, saliva solida verso il soffitto.
  “Sai che ti dico, – osservai spostando lo sguardo sulle vetrate rigate di pioggia – preferisco i leziosi manichini di un Carrà.” L’amico annuì, poi si avvicinò ad uno dei quadri che dominavano le pareti. Lo raggiunsi. La tela raffigurava un tempio, una collina, un uomo che meditava seduto sui gradini. Sotto i suoi piedi giaceva un fagotto scuro di sangue. Doveva contenere qualcosa di atroce e anche schifoso quel sacco insanguinato, almeno era questa l’impressione che trasmetteva l’opera.
  Ci spostammo in silenzio lungo la parete, percorrendo la pelle variopinta degli altri quadri. Uno, tra tutti, ci costrinse a fermarci. Si trattava di un interno in penombra. Un arciere (lo stesso uomo del quadro precedente?) vagava attraverso un intricato dedalo di colonne, lo sguardo ostinatamente fisso sul pavimento come se riflettesse un messaggio, la soluzione di un enigma.
  “Allora?” Domandò l’amico, spostandosi di qualche passo per vedere meglio.
  “Qui forse c’è qualcosa di buono. – ammisi – Chi è l’autore?”
  “Non so.”
  Cercammo inutilmente una firma o un cartiglio. Tornai rapidamente all’ingresso per prendere una guida, una locandina. Nulla. Incontrai lo sguardo di pietra del bigliettaio: una goccia di resina (una lacrima?) si aggrappava sulle ciglia. Tornai indietro deluso, producendo pensieri che si sovrapponevano alla realtà.

  “Cosa rappresenta, secondo te?” Domandò l’amico
  “Un uomo, forse un cacciatore. sembra cercare qualcosa, una traccia.”
  “In quella specie di scantinato? E allora perché tiene lo sguardo fisso in terra?”
  “Appunto, cerca tracce.”
  “Su un pavimento di pietra?”
  Proseguimmo borbottando. Ci sedemmo infine vicino a una statua che leggeva un giornale. Si intuivano alcuni caratteri e la data di stampa dell’edizione.
  “Bella trovata.” Dissi, evidenziando il mio solito sarcasmo.
  “Gli artisti vengono sempre prima dello spettatore, – spiegò l’amico, indulgente – quindi, bisogna avere pazienza. Abbiamo occhi troppo sciocchi per vedere il genio.
  Ci alzammo. Vagammo svogliati per altre sale, fino a capire che era giunto il momento di andarcene. Udimmo un rumore di passi lentamente ingoiati dal corridoio alle nostre spalle. Qualcuno doveva trascinarsi faticosamente verso di noi, probabilmente in conflitto con quel ciarpame inesplicabile che ci circondava.
Una voce (femminile?) disse:
  “Si chiude. E l’ora.”
  I miei occhi volevano seguire la sorgente di quella voce, ma non riuscii a voltarmi. Il mio amico, respirando affannosamente, mi strinse la testa in una morsa, quasi spezzandomi il collo. Avvertii dolore, sorpresa e infine rabbia.
“Che ti piglia?!” provai a divincolarmi, ma l’amico strinse ancora più forte.
  “Fermo.” La sua voce era un sussurro disperato e determinato. Poi, più conciliante: “Stai fermo, ti prego: faccio fatica a tenerti.”
  “E allora lasciami andare!” Gridai. “Che razza di spettacolo vuoi dare?”
  L’amico prese fiato.
  “Ascolta. Ho un dubbio. Strano che non sia venuto anche a te.”
  “Ma di cosa parli?”. Sentivo i miei capelli drizzarsi sulla nuca per la paura e il sangue accelerare dentro di me.
L’amico allentò la stretta, comprese che cominciavo a intuire dove portavano le sue allusioni, pur nella confusione che mi dominava. Ci fu un tuono prolungato; quando svanì in lontananza si manifestò con tutta la sua forza l’assoluta immobilità di quel luogo. Nell’aria aleggiava una pausa elettrica. Mi ricordò il momento decisivo di una partita a scacchi: la paralizzante consapevolezza che una sola mossa sbagliata ti porterà rapidamente al disastro.
  “Ora ascoltami – riprese l’amico – senza interrompermi.”
  “Va bene.” Dissi.
  “Pietre. Pietre e statue ovunque. L’arciere, o quello che sia,  che guarda a terra. Non sta cercando nulla, sfugge qualcosa.”
  “Ho capito – replicai –. Ora puoi lasciarmi?”
  “Se ti lascio andare – disse l’amico – mi prometti che non ti volterai?”
  I miei occhi si abbassarono e lui abbandonò la presa. La testa mi ronzava. Rimasi a fissare le venature screziate sul pavimento di marmo, cercando di calmarmi. Intuivo le nostre ombre appaiate. Eravamo entrambi immobili.

  “Andiamo.” Disse infine l’amico.
  Ci avviammo, a testa bassa, seguendo il corridoio.
  Mano a mano che ci avvicinavamo all’uscita il respiro del guardiano si faceva più roco. Sembrava aspettarci. L’ossigeno intorno a noi aveva un odore aspro, dolciastro, qualcosa che ricordava il lezzo della tana di un animale, gli avanzi corrotti di un cadavere o il fiato acido d’una fiera. Alla fine, riflessa sul pavimento lucido, riuscii a distinguere la sua sagoma, orribile e sfocata. Le linee e le estremità della grande testa aggrovigliata e ripugnante si muovevano come ombre. Chiusi gli occhi.
  L’amico mi prese sottobraccio e mi condusse nell’atrio, poi finalmente all’aperto.
  Accolsi la pioggia e i rumori sommessi della città con puerile felicità. Mi fermai, come l’amico. Riuscimmo finalmente ad alzare lo sguardo da terra.
  L’amico estrasse un sorriso tirato.
  “Ricordo un’opera di Keith Haring. – disse – Ma questa è davvero un’altra cosa.”
  Quell’omino stilizzato che schiacciava sotto i piedi l’orrida testa sterpigna.
 Ansimai. “Stai dicendo che era davvero lei?, la …?”
  “No! – M’interruppe – Quella la sistemò a suo tempo Perseo (rammenti?): ma erano tre sorelle, mi pare. Le Gorgoni. Evidentemente una di loro è ancora viva. In fondo – concluse – un museo o una galleria sono un nascondiglio non meno efficace di un tempio sperduto o di una spelonca.”
  Rimanemmo in silenzio.
  Dopo qualche minuto la paura era passata e accennai a tornare indietro, una forza magnetica mi attraeva con forza, tirandomi con invisibili corde.
  “Ti prego, non farlo – Mi fermò l’amico; nel fondo delle sue parole c’era qualcosa di umile e trepido che mi commosse – Ti prego, non voltarti.”
  Dopo un profondo respiro indicò una larga pozza d’acqua davanti a noi.
Ci avvicinammo lasciandovi riflettere la metà superiore del nostro corpo.
  In quell’acqua si specchiò insieme a noi una magra figura di morte, tormentata dall’incessante aggrovigliarsi delle serpi, che attendeva che la nostra curiosità ci perdesse per sempre.
  “Ti prego, – ripeté l’amico, a bassa voce, premuroso – non voltarti ora.”
  Mi prese di nuovo sottobraccio e parlandomi d’altro (ora non saprei più dire di cosa) mi trascinò lungo il vialetto fino alla cancellata che portava oltre il giardino, alla strada, alla salvezza.

Profilo dell'autore

Claudio Vergnani, modenese, autore di narrativa horror, ha pubblicato per Gargoyle Books i romanzi Il 18° VampiroIl 36° Giusto e L’ora più buia, una trilogia vampirica di grande successo e originalità che non manca di attualità e contenuti sociali. Attualmente sta lavorando a un nuovo romanzo, titolo in codice Evento Z. Claudio Vergnani è rappresentato dalla Agenzia Letteraria Dark Circle.



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