Non so se sia Marías a essere tornato agli antichi splendori o se sono io a essere di nuovo capace di apprezzarlo, ma so che questo è un libro che mi resterà. C’è tutto quanto fa di lui un autore enorme: una storia dagli snodi estremi, una inarrivabile finezza e precisione di analisi dei sentimenti, e una sapienza di scrittura che gli permette di tirare singole frasi per intere pagine senza far cadere il filo o la tensione. All’origine della storia c’è una coppia perfetta, idealizzata da una donna che ogni giorno a colazione la fissa ammirata perché la cosa le infonde serenità. Un giorno, però, l’uomo viene ucciso per strada da uno squilibrato. Questo spinge l’ammiratrice segreta ad avvicinarsi alla sconosciuta rimasta vedova e a conoscere accidentalmente il migliore amico della vittima, con il quale inizia una relazione di natura prevalentemente sessuale. Niente di più, anche perché lui, a sua volta, è innamorato della vedova del suo migliore amico e intende conquistarla con la pazienza e la costanza che l’operazione richiede. Perdita, mancanza, desiderio, asimmetrie nei rapporti: è con questi materiali che Marías imbastisce il suo racconto, fatto come al solito di brevi, improvvisi e radicali eventi e di lunghe speculazioni sugli stessi. Seguendole, possiamo tuffarci in tutta la gamma dei pensieri e dei sentimenti umani, identificandoci, spaventandoci, spesso mettendo a fuoco con qualche brivido che alcuni dei meno nobili li abbiamo toccati o sfiorati anche noi. Perché quello che Marías vuole ricordarci è che non è vero che l’innamoramento e l’amore ispirino solo gesti positivi o bonariamente ferali e che camminare sul crinale di questo sentimento che ci esalta e ci umilia, ci definisce e ci misura, può portarci ovunque. Non c’è solo questo – è chiaro – ma già solo questo basterebbe a fare del libro un capolavoro.
Gli innamoramenti, Javier Marías (Einaudi, 306 pp, 20 €)
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