di Riccardo Alberto Quattrini. Nel mio caso si è cospirato per distruggermi, sebbene io non sia stato riconosciuto colpevole di alcunché, tantomeno di qualcosa somigliante alle stregoneria
Padre Urbain Grandier 1634
All’epoca la piccola cittadina francese di Loudun era dominata da antichi torrioni gotici, che avevano ancora per gli abitanti la loro importanza, poiché le guerre di religione erano cessate da poco e la maggioranza degli abitanti era ugonotta, mentre il potere era tutto cattolico; situata nella regione di Poitou-Charentes, era una città di provincia del nord Ovest della Francia, lontana dalla corte, dominata dal governatore Armagnac e da una ventina tra magistrati e avvocati e persone colte che rappresentavano la società del luogo. Nel 1600, sotto il regno di Luigi XIII, fu teatro di uno degli episodi storici più oscuri e affascinanti. Un affaire in cui politica, sesso e fanatismo religioso sono mescolati assieme in un torbido e inquietante ritratto dell’Europa del tempo.
Nelle popolari storie dell’orrore non è raro trovare come luogo d’ambientazione piccoli villaggi, cittadine tranquille immerse nel verde della campagna, improvvisamente scosse da terribili avvenimenti.
Gli eventi della cittadina francese di Loudun, pur in apparenza provenienti da una macabra fiaba, in vero scossero la popolazione locale per secoli: la più grande possessione diabolica di massa della storia ancora oggi suscita curiosità e timori.
Ma cosa realmente accadde in quegli anni di tanto sensazionale.
Siamo nel 1617. L’abate Urbain Grandier, brillante allievo dei gesuiti, bello, colto e affascinante. Si vociferava che un giorno sedusse una fanciulla, la signorina Trincant, figlia del procuratore del re: la giovane ebbe un figlio ma egli la dimenticò e si allontanò da lei per sedurre un’altra giovane, Madeleine de Brou. A Loudun e Châtellerault, cittadina adiacente, il fatto veniva commentato e molte donne avevano messo gli occhi sul seducente curato, le cui messe si erano trasformate in eventi brillanti. Proprio nelle sue prediche Grandier lanciava spesso attacchi contro i monaci rinchiusi nei conventi e contro quelli che andavano a mendicare per le strade, sollevando così lo scontento fra i carmelitani, i cappuccini ed i cordiglieri. Grandier diventa parroco di una piccola cittadina francese, dove si trovava un convento di suore orsoline la cui madre badessa, invaghitasi del curato, innescò un fenomeno di isteria erotica collettiva che provocò l’intervento del potere centrale: il cardinale Richelieu ne approfittò per eliminare quel parroco attorno al quale si erano radunati gli ugonotti della regione. Gli ugonotti erano i protestanti francesi di confessione calvinista presenti in Francia tra il XVI e il XVII secolo. Va ricordata, verso la fine del XVII secolo, la strage di San Bartolomeo, dove vide la cacciata di duecentomila ugonotti a causa delle persecuzioni religiose.
Questa storia vede, oltre al parroco di Loudun Urbain Grandier, un’altra protagonista Jeanne de Belcier, priora del convento delle Suore Orsoline di Loudun, chiamata anche suor Jeanne des Anges. Anima tormentata, dedita secondo la sua stessa autobiografia al libertinaggio nei primi anni di clausura e in seguito duramente repressa e ossessionata dal sesso. La madre superiora cominciò ad avere delle fantasie erotiche su Urbain Grandier, anche se non lo aveva mai visto di persona; fu tanta l’ossessione che ben presto divenne una vera malattia, tanto da ammalarsi.
Dunque, uno dei motivi dell’improvviso trasferimento a Loudun potrebbe essere proprio questo, anche perché a subire il suo fascino erano nobildonne sposate a uomini in vista. Da parte sua, Grandier, non faceva nulla per attenersi alle ferree regole clericali in tema di sesso, cedendo facilmente alle tentazioni. Un’altra caratteristica era la sicurezza in se stesso, che rasentava la saccenteria: non disdegnava di entrare in conflitto con chi si metteva sulla sua strada, uscendone spesso vincitore. Se i nemici, quelli poco influenti si potevano tenere a bada – Grandier era anche un uomo dal carattere duro e intransigente, una di quelle persone che non mancano di farsi un mucchio di nemici – così non è quando i rivali fanno parte del clero, e godono i favori del Re, come il cardinale Richelieu, cioè l’uomo più potente di Francia, lo scontro allora si fa assai duro.
Il contendere era un libello pubblicato nel 1633 intitolato: La Calzolaia di Loudun che la gente malintenzionata del posto attribuì al curato di Sant-Pierre, cioè Grandier.
L’arrivo di Grandier fu accolto con malcelata soddisfazione da parte di molte donne del paesino della regione di Poitou-Charentes.
Tormentata dall’impossibilità di entrare in contato con lui, la suora trascorse notti insonni e spesso, dalle loro celle, le altre orsoline percepivano i suoi lamenti; finché si presentò un’occasione irripetibile, da cogliere al volo. Il padre confessore del convento morì; Jeanne colse la palla al balzo ed invitò Grandier a prendere il posto di direttore spirituale delle monache. Ma padre Grandier rifiutò, non aveva infatti alcuna voglia di modificare la vita gaudente che conduceva fin dal suo arrivo a Loudun, col perdere il suo tempo in un convento di monache. Quando ricevette il biglietto del parroco, la badessa precipitò nella più profonda e nera disperazione. Da allora suor Jeanne cominciò con il noto copione, denunciando che il fantasma di Grandier le appariva di notte, “sollecitandola con carezze lascive e parole insolenti ed impudiche”. I digiuni e le preghiere non furono di alcun giovamento, quindi fu chiamato un esorcista, che tentò invano di liberare la monaca. All’esorcismo assistette un funzionario statale, amico di Grandier e molto scettico sulla possibilità di possessione diabolica; egli rifiutò di prendere sul serio gli isterismi della suora ed archiviò la questione. Ma suor Jeanne manifestò sintomi ancora più violenti, continuava a urlare i dettagli degli amplessi che consumava ogni notte con il parroco di Loudun. Altri esorcisti furono chiamati e tutti fallirono. I demoni che urlavano bestemmie attraverso la bocca della monaca insistevano tutti a dire di essere mandati da Grandier. A poco a poco, anche altre monache, diciassette, furono improvvisamente preda della stessa isteria collettiva. La maggior parte di loro erano giovani nobildonne che avevano abbracciato la vita monastica non certo per un imperioso desiderio di seguire i precetti evangelici e ottenere la perfezione cristiana, ma perché sprovviste di una dote che le assicurasse un marito. Osservavano la regola, ma con rassegnazione coatta e rabbia repressa.
Il convento di Loudun divenne così un caso nazionale e a questo punto il cardinale Richelieu ebbe modo di consumare la sua personale vendetta nei confronti di quel pretuncolo di provincia che ha osato mettersi contro di lui, la vita dissoluta del prete sarà il mezzo che il Cardinale userà per accusarlo di stregoneria, ma anche una ragione politica: il parroco di Loudun è infatti a capo di una frangia ugonotta di quella regione della Francia. Il potentissimo cardinale mise immediatamente in moto la macchina inquisitoria inviando a Loudun un commissario reale con pieni poteri, il migliore e più fidato dei suoi uomini: Jean Martin Laubardemont, che nel 1630 aveva ricevuto un encomio per aver fatto giustiziare 120 streghe, mandandole alla purificazione del rogo. Questi prese subito per buone le accuse delle indemoniate, alcune delle quali erano sue parenti, mise subito agli arresti Urbain Grandier, giustificandosi che era una misura utile a proteggere anche lui, visto che le voci sul suo conto diventavano sempre più pericolose. Il prete allora, propose di effettuare egli stesso gli esorcismi sulle religiose: davanti ad un folto gruppo di persone, riunite nella Chiesa di Saint-Croiz, gli furono presentate le possedute. Vedendolo, le monache davano in escandescenza, con urla terribili e collera, contorcimenti e convulsioni, si rotolavano per terra, poi si gettavano su di lui, graffiandolo e mordendolo. Fu necessario intervenire per fermare la furia delle suore.
La sorte di Grandier, fatto tornare immediatamente in prigione, era ormai segnata. Ad aggravare la sua situazione, già di per sé gravissima, fu il ritrovamento di diversi patti di sangue firmati con i demoni Asmodeo e Léviathan, assieme a resti di pelle umana.
Portato via Grandier, Laubardemont entrò quindi nella cella della madre badessa: colei da cui tutto era iniziato.
Suor Jeanne rispose con voce alterata alle domande e quando sentì il nome di Grandier, avvenne una cosa sconvolgente. Dalla sua bocca contorta uscirono parole pronunciate con una voce roca maschile: “Io sono il demone Asmodeo e posseggo il corpo di questa monaca il cui unico desiderio nella sua miserabile vita è ormai quello di farsi fottere da Urbain Grandier, di leccare lo sperma che trabocca dalla sua verga, come fa ogni notte con i ceri che si porta nella sua cella!”. Parole che impressionarono lo stesso Laubardemont, che fu interrotto prima di poter replicare. “Senza che se ne rendesse conto”, aggiunse Jeanne-Asmodeo, “l’unica volta che Grandier è venuto in questo convento ho potuto marchiarlo, rendendo il suo corpo insensibile in alcuni punti”.
Laubardemont abbandonò il convento scuro in volto e nell’animo, resosi conto che quella missione affidatagli da Richelieu presentava difficoltà che nella sua pur lunga esperienza non aveva mai incontrato.
Ordinò quindi che si cercasse un medico, il più bravo della regione. Iniziò poi a raccogliere il numero necessario di giurati per processare padre Urbain Grandier, ma si trovò imprevedibilmente di fronte a una serie di rifiuti. Provò quindi prima con le lusinghe, poi con le minacce, sempre ottenendo lo stesso risultato negativo. Alla fine, fu costretto a cercare fuori da Loudun: a Chinon, Chatelleraut, Poitiers, Tours, Orleans, La Flèche, Saint-Maixent e Beaufort. Otto luoghi diversi per raccogliere tredici persone. Nella seconda settimana di agosto del 1634 fu quindi tutto pronto per iniziare il processo al parroco di Loudun.
Mentre Grandier veniva rasato in ogni parte del corpo (alla ricerca di eventuali marchi della Bestia), infine completamente glabro, quasi irriconoscibile senza i lunghi capelli neri e i baffi appoggiati maestosamente su labbra carnose, oggetto dei pensieri lascivi e peccaminosi di molte orsoline, veniva portato davanti a un medico perché lo visitasse accuratamente cercando i segni di cui aveva parlato il demonio Asmodeo. I giudici si recarono al convento delle orsoline dopo aver ascoltato messa e ricevuto la comunione. Fra essi c’era il vescovo di Poitiers, che si disse convinto della presenza di molti diavoli, e del fatto che parlassero per bocca delle suore.
I demoni affermarono più volte che Grandier era uno stregone e la voce si diffuse ben presto per Loudun. Poi uscì dal paese e si propagò nelle campagne e negli altri villaggi, fino a Poitiers. In breve tempo, in tutta la regione, si seppe che a Loudun il parroco Urbain Grandier sarebbe stato processato come stregone e, secondo i beni informati, condannato al rogo.
Così, prima timidamente, poi con un’affluenza insostenibile per un luogo che era poco più grande di un borgo, arrivarono in migliaia per assistere all’esecuzione del parroco. Perché la conclusione di quel processo pareva chiara: la condanna a morte con il fuoco.
Sembrerà strano, ma l’unico a credere che sarebbe uscito indenne dal processo e addirittura con tanto di scuse era proprio Urbain Grandier, che cominciò a sospettare un destino diverso solo quando fu sottoposto all’esame dell’ago: fu cioè trafitto in più punti del corpo per verificare quali di questi fossero protetti dal demone Asmodeo e quindi insensibili al dolore. Ma i chirurghi che con meticolosità effettuarono la ricerca furono sfortunati, nel senso che il parroco urlò in corrispondenza di ogni trafittura, restando infine sanguinante per tutto il corpo ed esausto. I medici uscirono dalla cella scuotendo il capo e prendendosela con la sfortuna che si era messa contro di loro facendogli fallire la ricerca.
Laubardemont capì che non sarebbe stata cosa semplice estorcere a quel prete una confessione piena ed esaustiva dei suoi peccati. Nell’unica occasione in cui il commissario governativo si trovò a quattr’occhi con Grandier, il parroco gli disse: “Ricordo che mentre ero studente a Bordeaux un monaco fu bruciato per stregoneria, ma il clero e i monaci fecero del loro meglio per salvarlo, anche se egli aveva confessato i suoi crimini, invece nel mio caso si è cospirato per distruggermi, sebbene io non sia stato riconosciuto colpevole di alcunché, tantomeno di qualcosa somigliante alla stregoneria”. Laubardemont una volta lasciata la prigione del parroco, l’unica cosa che premeva all’uomo di fiducia di Richelieu era l’elenco degli ugonotti asserviti a Satana che intendevano muoversi contro la corona.
I giudici videro l’accusato in tutto tre volte. Poi, nelle prime ore del 18 agosto, fu letto a Grandier il verdetto che era stato firmato unanimemente. Il parroco di Loudun, riconosciuto colpevole dell’accusa di stregoneria, doveva essere sottoposto a tortura prima di essere condotto al rogo. Si trattava del terribile metodo dello “stivale”. Era una delle torture più crudeli e violente, tanto che, a detta dei testimoni, tutti i membri del Consiglio che la ordinava invariabilmente chiedevano di andarsene appena iniziata la procedura. Vestito di un camicione lungo fino ai piedi, Grandier fu sistemato su una panca, dove fu fatto distendere e le sue gambe furono chiuse nella morsa di due assi. Poi arrivò il boia, che dopo averlo denudato infilò il primo cuneo di legno fra una gamba e l’asse, sollevò un bastone con un martello in punta e lo calò con forza sul cuneo. Grandier lanciò un urlo che attraversò tutta Loudun, fino a raggiungere il convento delle orsoline, dove suor Jeanne, inginocchiata nella cappella, guardava con occhi spiritati il grande crocefisso sull’altare, mentre fremeva per una febbre che pareva volesse divorarla.
Dopo il primo cuneo, Laubardemont si avvicinò a Grandier e, dopo essersi piegato fino al suo orecchio, gli chiese in un sussurro se volesse confessare il nome di Dio di essere servo del demonio e rivelare i nome dei suoi complici ugonotti. Ricevuto l’ennesimo rifiuto, non perché Grandier non volesse, ma perché non aveva sentito nessun demonio e tantomeno ordito tresche con nessun complice, Laubardemont si allontanò gettando uno sguardo al boia, che infilò il secondo cuneo con una violenza ancora superiore. Poi piantò il terzo, il quarto e via così… Otto in tutto, ma al settimo Grandier svenne.
Fu sufficiente una secchiata d’acqua per fargli riprendere i sensi, l’uomo che era stato l’oggetto del desiderio di quasi tutte le donne di Loudun, era ridotto a una larva sanguinolenta; fu fatto sedere su uno sgabello in ferro e legato al palo del rogo. Le fiamme si levarono poco dopo. Inutilmente una donna invocò pietà: “Strangolalo! Strangolalo, per amore di Dio!”, urlò al boia che, dopo aver lanciato uno sguardo a Laubardemont, rimase impassibile.
Quando tutto fu finito, chi si trovava più vicino al patibolo, avendo conquistato il posto fin dalla notte precedente, si precipitò su quei rimasugli fumanti di legna, ossa e carne, raccattando quel che poteva.
Qualche mese più tardi, un dottore che era stato chiamato per “la prova dell’ago” rivelò di aver visto uscire dalla bocca di suor Jeanne un pezzo di sapone con il quale aveva evidentemente provocato la schiuma scambiata per bava mentre fingeva di essere posseduta durante le sue deposizioni. Un espediente che aveva contribuito a dannare il povero Urbain Grandier. Suor Jeanne non solo non fu mai sfiorata da nessun sospetto, ma una mattina corse per tutto il convento urlando che Dio l’aveva segnata mostrando delle stimmate che si era procurata da sola e che la fecero considerare in odore di santità da molti: coloro che non sapevano che ogni notte, sotto quella veste, Jeanne continuava a fantasticare eroticamente su Grandier.
Alla morte avvenuta per una febbre inspiegabile, nel 1638, quattro anni dopo l’esecuzione del parroco di Loudun, la sua camicia da notte che si sostenne immediatamente avesse poteri miracolosi perché aveva vestito una donna che sarebbe stata certamente canonizzata, fu prelevata e portata alla regina Anna, moglie di Luigi XIII. Con essa la regina coprì suo figlio appena nato, perché quella camicia lo proteggesse e gli assicurasse una vita lunga e felice. Fu così: egli infatti morirà il primo settembre 1715 dopo oltre settant’anni di regno, passando alla storia come Re Sole.
BIBLIOGRAFIA Aldous Huxley I diavoli di Loudun 2008, 399 p., brossura
Editore: Cavallo di Ferro Ubezio M. traduzione
€ 18,50
François Ribadeau DumasDossier segreti di Stregoneria e di Magia NeraEdizioni Mediterranee DEA StoreHoepli.itISBN 88-272-0850-X€ 13,18 I diavoli (The Devils) è un film del 1971 diretto da Ken Russell, tratto dall’omonimo dramma teatrale di John Whiting ispirato al romanzo di Aldous Huxley I diavoli di Loudun.
Artwork, cover