La campagna contro gli Ogm di Greenpeace sul cotone indiano lancia l’assalto alla fortezza biotech sul versante che sembrava meglio difeso : l’aspetto economico. Con il rapporto Picking Cotton l’associazione ambientalista prova a rovesciare passando alle classiche accuse sul fronte sanitario all’analisi dell’impatto del transgenico sul piano sociale.
Lo scenario scelto è cruciale perché rappresenta il cuore della produzione di una materia prima che vale un export globale da 12 miliardi di dollari : più della metà del cotone transgenico viene dall’India.
Secondo il rapporto , che mette a confronto il modello di coltivazione internazionale con quello ogm, i contadini dell’India che si sono convertiti al cotone transgenico hanno sostenuto costi quasi doppi rispetto a quelli sopportati dai coltivatori del cotone biologico.
A far salire la lancetta del rosso sono stati l’indebitamento per l’acquisto dei semi e le spese per pesticidi e fertilizzanti: le filiere producono la stessa quantità , ma la differenza di costi non è compensata.
Il risultato è che nell’arida stagione 2009-2010 il reddito dei coltivatori che hanno usato sistemi biologici è stato il doppio di quelli che hanno scelto il prodotto transgenico, mentre nella stagione regolare la differenza era stata molto ridotta.
“Lo studio dimostra che i prodotti transgenici resistono meno degli altri alle sollecitazioni del caos climatico e che la propaganda sugli ogm come rimedio alla fame del mondo è falsa” accusa Federica Ferrario , responsabile della Campagna sugli Ogm di Greenpeace. “Il passaggio dalle colture tradizionali ai semi sterili , che si devono acquistare anno per anno, penalizza quei milioni di contadini che lottano ogni giorno per la sopravvivenza e che possono farcela solo se l’ecosistema rimane stabile e loro non vengono espropriati dalla possibilità di continuare a coltivare senza indebitarsi”.
Con questo rapporto Greenpeace cambia bersaglio e insiste sul rischio sociale e ambientale.
Ma quali sono i veri problemi dell’Ogm? Lo spiega Roberto Danovaro, vicepresidente della Società italiana di ecologia “Ne voglio ricordare tre. Il primo che gli Ogm possono dare un formidabile vantaggio competitivo alle specie invasive che, ibridandosi con le piante transgeniche , inglobano il gene che codifica la resistenza agli erbicidi : già oggi le spese per combattere le specie aliene stanno aumentando sensibilmente. Il secondo problema è che gli ogm alternano la biodiversità in modo pericoloso. Pensiamo ad esempio alla capacità di resistenza a un’avversità naturale che può avere un salmone transgenico gigante : è come un cavallo da corsa che si trova a dover combattere per il cibo. E se alla fine ci troviamo ad avere solo cavalli da corsa … Il terzo problema è che l’inquinamento genetico è il più subdolo perché non si può fermare Mentre la contaminazione tradizionale , quella chimica , si diluisce con il tempo, il Dna modificato in laboratorio continua a restare attivo di generazione in generazione”.
Leonardo Vingiani , direttore di Assobiotec , assicura che le critiche sono prive di fondamento “Per ottenere una licenza di commercializzazione bisogna superare esami rigorosi che riguardano sia l’impatto sanitario che quello ambientale. I prodotti ammessi garantiscono l’impossibilità di un incrocio non voluto con altre specie presenti in natura, perché si usino le buone pratiche di coltivazione , purché cioè si rispetti la zona cuscinetto , la distanza minima che va mantenuta tra un campo coltivato in modo biologico e un campo in cui sono stati utilizzati prodotti frutto dell’ingegneria genetica”.
Comunque un gene resistente ai pesticidi è già passato. Documentato. In Science del 2002 sulla colza transgenica dell’Australia o Nature Biotechnology nel febbraio 2008 su un caso del cotone Bt negli Stati Uniti.
“L’ingegneria genetica ha fatto un’infinità di sperimentazioni ma di fatto l’85% delle specie commercializzate è stato costruito in modo da resistere agli erbicidi e infatti il loro uso , a livello globale , è aumentato negli ultimi anni dell’1,5% “ ricorda Giovannetti , preside della Facoltà agraria di Pisa.
“Se questi geni si diffondessero in natura le conseguenze sarebbero allarmanti. Un altro scenario inquietante è quello di un’ulteriore drammatica riduzione della diversità genetica delle tre o quattro colture su cui si basa la sopravvivenza di buona parte dell’umanità , a vantaggio di un prodotto ogm che potrebbe all’improvviso trovarsi esposto a una difficoltà ambientale imprevista provocando una carestia a livello globale”