Se non abbiamo pieno controllo sulle informazioni che ci riguardano perdiamo la libertà di controllare parte della nostra stessa esistenza (Andrea Zedda).
di Alessandro Ligas
Nel dizionario di Filosofia di Nicola Abbagnano si legge a proposito del concetto di libertà “in generale possiamo dire che è lo stato in cui un soggetto può agire senza costrizioni o impedimenti e possedendo la capacità di autodeterminarsi secondo un’autonoma scelta dei fini e dei mezzi adatti a conseguirli”.
Oggi, nel 2014, siamo costantemente attorniati dalla tecnologia, ma ci possiamo considerare veramente liberi? Cioè siamo realmente capaci di “autodeterminarci secondo un’autonoma scelta”?.
Siamo nell’epoca che viene definita “della conoscenza” dove le informazioni ed i dati, della rete e nella rete, acquistano sempre di più valore. In un modo o nell’altro siamo legati alla cultura digitale, attraverso questa il mondo analogico si fonde con quello digitale. In questo mondo possiamo paragonare il libero accesso alle informazioni al concetto di libertà definito nel dizionario di Abbagnano.
La digitalizzazione della nostra vita ci sta portando a cambiare radicalmente i nostri paradigmi e questo comporta anche un cambiamento in noi e nel nostro modo di leggere non solo la realtà ma l’io, noi stessi.
Attraverso questi si riesce a fare breccia in questa stato di “non libertà” facendo in “modo che i dati pubblici (cioè quei dati prodotti con i soldi delle nostre tasse, che hanno a che fare con le nostre vite, le nostre attività, il nostro territorio)”, prosegue Andrea, “appartengano realmente a tutti e siano equamente accessibili, ci permette di avere una posizione più rilevante in questo contesto”.
La libertà non è l’unico vantaggio tangibile che questi concetti si portano dietro. I dati aperti portano vantaggi a tutti coloro che vivono all’interno di una comunità siano essi cittadini, lavoratori o dipendenti della struttura amministrativa. È possibile migliorare l’efficienza dell’organizzazione e della gestione degli uffici in quanto, è possibile evitare costi superflui derivanti dalla duplicazione degli sforzi per produrre informazioni già condivise da altri uffici, instaurando processi virtuosi di organizzazione e gestione delle pratiche. Ma soprattutto gli enti hanno l’opportunità di poter dimostrare realmente una maggiore trasparenza, condivisione e partecipazione dei propri cittadini al processo decisionale modificando così il modo di fare politica.
In questo modo la trasparenza diventa realmente uno degli elementi fondamentali del governo cittadino, come viene richiamato dall’open government, ossia da quella dottrina secondo cui la pubblica amministrazione dovrebbe essere aperta ai cittadini, tanto in termini di trasparenza quanto di partecipazione diretta al processo decisionale, anche attraverso il ricorso alle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione.
Senza contare che questo nuovo modo di gestione delle informazioni crea valore e contribuisce alla creazione di nuovi mercati, di imprese e di lavoro attraverso nuovi innovativi strumenti .
Ma quanto sono consapevoli i nostri legislatori del mondo che si sta costruendo e cosa stanno realmente facendo per garantire la “libertà”? A che punto siamo con la diffusione dei dati aperti?
Chi è l’Associazione Sardinia open data cosa fa e con che obiettivi nasce?
Sardinia Open Data è un’associazione di promozione sociale senza scopo di lucro. Nasce nel 2011 con l’obiettivo di portare avanti azioni di sensibilizzazione e di supporto per l’apertura, l’utilizzo e la valorizzazione dei dati promuovendo la cultura open data.
Come siete nati?
L’idea del progetto è nata da una discussione sul social network statistica.ning del quale sono membro da diverso tempo. Si parlava di Datawithoutborders, iniziativa nata negli USA dove statistici volontari aiutano in maniera completamente gratuita le ONG presenti nel territorio per quanto riguarda l’elaborazione dei dati in loro possesso. Siccome al tempo lavoravo già da parecchio come data analyst, ho iniziato a pensare che avrei potuto usare le mie professionalità per realizzare, con alcune opportune modifiche, un’iniziativa del genere rivolgendola al mondo delle associazionismo locale.
Contestualmente era un periodo in cui iniziavo ad informarmi sul mondo open data, un argomento che mi interessava molto perché coniugava la base del mio lavoro, i dati, con le tematiche tipiche dell’open source e del free software dei quali son da sempre un appassionato sostenitore.
Ho così deciso che l’open data sarebbe stato al centro del progetto e ho proposto il tutto ad un gruppo di persone che al tempo lavoravamo con me. Così insieme abbiamo fondato l’associazione.
Che difficoltà avete incontrato nel realizzare il vostro progetto? Come le avete risolte?
Il problema più grande consiste certamente nel trovare il tempo necessario per svolgere le nostre attività associative, coniugarle con i vari impegni lavorativi e di altra natura. Tutte le nostre iniziative hanno un contesto essenzialmente volontario e gratuito quindi, per forza di cose, non possiamo sempre metterle in primo piano.
Nonostante ciò grazie alla nostra volontà ma soprattutto all’interesse e alla curiosità che nutriamo per queste tematiche, riusciamo a vederci a cadenze pressoché regolari. Così ci incontriamo all’incirca una volta alla settimana per discutere, pianificare e portare avanti i nostri progetti.
Quali sono le iniziative e i progetti che Sardinia Open Data sta portando avanti?
“Osm mapping meetings”: una serie di incontri finalizzati alla mappatura collettiva su OpenStreetMap (la Wikipedia delle mappe) attraverso la formazione e il coordinamento di un gruppo di volontari.
L’anno scorso il progetto è andato molto bene, abbiamo introdotto diverse persone al mondo della mappatura libera e collettiva. La maggior parte di loro sono diventati appassionati mappers, e i più attivi sono poi son diventati parte integrante dell’associazione.
Dopo la prima fase di formazione ognuno ha iniziato a mappare quelle zone che conosceva meglio. Abbiamo poi contribuito a popolare OpenNuraghe, la mappa dei nuraghe presenti in OpenStreetMap, sviluppata da un nostro associato Stefano Sabatini. È poi partita un’altra fase che consisteva nel dare una mano nelle aree di crisi umanitarie presenti nel pianeta mappando le aree prive di una cartografia sufficiente alla gestione degli aiuti.
Il progetto si è concluso con un mapping party, cioè una mappatura sul campo di una precisa area l’anno scorso l’area in questione è stata il quartiere di Stampace a Cagliari.
La seconda edizione inizierà a dicembre, non sappiamo esattamente ancora la data e il luogo ma presto manderemo un comunicato sul nostro blog per raccogliere le iscrizioni (assolutamente gratuite) dei nuovi volontari.
Un altro progetto al quale parteciperemo a breve è “A scuola di OpenCoesione”, un percorso innovativo di didattica interdisciplinare rivolto alle scuole promosso dal MIUR e dal Dipartimento per lo Sviluppo e la Coesione Economica (DPS). Il progetto quest’anno coinvolgerà anche delle associazioni che operano sul territorio nazionale e mira a sensibilizzare gli studenti riguardo ai principi di cittadinanza consapevole, sviluppando attività di monitoraggio civico dei finanziamenti pubblici attraverso l’impiego di tecnologie di informazione e comunicazione e mediante l’uso degli open data. Abbiamo già avuto modo di contribuire al progetto OpenCoesione, nello specifico realizzando presso la nuova pista ciclabile di Su Siccu un Monithon, cioè un monitoraggio civico sul campo delle opere finanziate con i fondi FESR e Coesione.
A febbraio probabilmente ci occuperemo di nuovo dell’organizzazione dell’ Open Data Day che arriverà al terzo appuntamento. Siamo stati tra gli organizzatori delle due precedenti edizioni insieme al Circolo Giuristi Telematici e il Gulch di Cagliari.
Da chi è composta la vostra squadra?
Siamo un gruppo di persone con background professionali diversi ma con in comune la passione per le nuove tecnologie, il volontariato e l’open source. Il gruppo si sta via via espandendo e fortunatamente incontriamo nella nostra strada persone nuove disposte a dare un prezioso contributo.
Avendo una forma giuridica di associazione, per diventare soci a tutti gli effetti (e quindi non più semplici volontari) è richiesto una specie di tesseramento. L’iscrizione è completamente gratuita, l’unico vincolo è che di solito tutto ciò avviene solo in seguito ad un “invito”, dopo cioè un periodo di attività da volontario dove si è dimostrata una costante partecipazione agli incontri, un reale interesse nelle tematiche e la voglia di dare una mano.
Cosa sono gli Open data?
La particolarità degli open data è che sono correlati da una licenza che rende in grado chiunque di fare tutto ciò, garantendo al contempo sia l’autore che tutti i potenziali utilizzatori.
Gli open data possono riguardare qualunque tipo di argomento: dai dati di bilancio, a quelli metereologici, dai dati cartografici a quelli statistici.
Sono state individuate differenti caratteristiche, oltre quella fondamentale della licenza libera, che denotano la qualità di un rilascio open data e che riguardano la loro disponibilità nel web, la relativa documentazione e altre caratteristiche come il formato di rilascio. Su questo ultimo punto Tim Berners-Lee ha proposto una scala di valutazione in stelline. Si ha una stellina quando il file è in un formato proprietario e non adatto alla rielaborazione (ad esempio un pdf). Il numero di stelline cresce quando il dataset utilizzato diventa di più facile lettura per un software di elaborazione ed è distribuito in un formato aperto. In quest’ottica un csv ha più stelline di un formato proprietario molto diffuso come quello di Microsoft Excel.
Il massimo della valutazione si ha quando si effettua un rilascio in linked data, cioè dei dati che si collegano ad altri dataset presenti in rete e che formano il cosiddetto web dei dati.
A cosa servono?
Gli scopi son davvero tanti, servono alla trasparenza amministrativa, all’economia, a chi sviluppa software e applicazioni, ai giornalisti, alle ONG, agli studenti. Insomma non c’è un preciso limite al riutilizzo. Ad esempio in questo momento sto facendo una ricerca di mercato completamente basata sugli open data.
Perché, per la PA, gli open data sono ritenuti molto importanti?
Secondo me in realtà la maggior parte delle PA italiane non li considera così importanti. C’è ancora una conoscenza molto superficiale del tema tra gli amministratori e coloro che hanno sentito parlare di dati aperti molte volte li considerano una inutile scocciatura oppure una moda da subire e seguire. Questo perché non riescono a coglierne i reali vantaggi che purtroppo si verificano soprattutto nel lungo termine.
Ci sono sempre le eccezioni che confermano la regola, ma questa è per me una magra consolazione.
Quali vantaggi offrono a PA e cittadini?
I cittadini possono accedere alle informazioni che li riguardano e contestualmente esercitare un controllo sull’operato degli amministratori. È possibile avere a disposizione informazioni per gestire le proprie attività, siano esse lavorative, di studio o di attivismo.
Le PA possono avere feedback immediati su quel che si è prodotto, ed esibire in maniera chiara e trasparente il proprio operato in modo da affrontare meglio eventuali strumentalizzazioni politiche.
L’amministrazione rilasciando dataset interessanti può inoltre promuovere lo sviluppo di nuovi servizi da parte di terzi, senza così dover spendere alcuna risorsa. Per fare un esempio, se l’ARST rilasciasse i dati sul trasporto pubblico con la posizione delle fermate, gli orari e i percorsi dei bus, è molto probabile che ci sarà qualcuno che riutilizzerà quelle informazioni, magari per creare un’ app.
Questa situazione ci porta ad un altro vantaggio che in questo caso avrebbero sia la PA che i cittadini: uno stimolo all’economia e al mercato del lavoro che consegue al rilascio di una vera e propria risorsa, cioè i dati.
Open data: trasparenza in Sardegna, a che punto siamo?
Non siamo messi per niente bene. Per ora solo 4 amministrazioni sarde hanno portato avanti dei rilasci open data: la Regione, la Provincia di Carbonia-Iglesias, il Comune di Cagliari, e il Comune di Sestu con il quale ho avuto l’opportunità di collaborare.
Sestu la considero una felice eccezione (capisco però che rischio di apparire imparziale), Carbonia e Cagliari sono partite bene ma si sono bruscamente fermate, la Regione ha potenzialmente una miriade di rilasci da operare ma per ora a fatto ben poco se si esclude il rilascio dei geodati di Sardegna Geoportale. Da quel che ho capito il problema consiste nel fatto che si intraprende una strategia che comporta la predisposizione di grossi progetti come la realizzazioni di interi portali. A mio avviso il tutto rallenta enormemente l’intero processo, comporta l’impiego di molte risorse e contestualmente produce pochissimi risultati.
In realtà operare un rilascio non è assolutamente così difficile e oneroso, a volte bastano pochi accorgimenti e pubblicare in open data quel che già si ha e si produce quotidianamente.
Penso che la strategia migliore sia quella di mettere inizialmente online la maggior parte dei dataset possibile e solo in seguito strutturarli in portali, report e visualizzazioni. Sarebbe una svolta reale e importante che permetterebbe un cambio di passo decisivo.
È possibile fare business dagli open data? Come?
È sicuramente possibile. Ci son diversi modelli di business che si basano sui dati aperti.
Innanzitutto una compagnia può avere ritorni di immagine, reputazione e visibilità semplicemente rilasciando alcune basi dati. In questo modo oltre che a comunicare un messaggio di trasparenza e affidabilità, può ottenere anche dei feedback da parte dei clienti e stakeholder.
Parlando di business vero e proprio, un modello importante è costituito dai cosiddetti “aggregatori”, cioè quelle aziende che offrono servizi di data market o analisi dati e che sono in grado di ricavare del valore aggiunto dagli open data.
Altro modello è quello degli “abilitanti” cioè coloro che predispongono portali e piattaforme adatte alla pubblicazione strutturata delle basi dati rilasciate.
Ovviamente ci sono poi gli sviluppatori che possono utilizzare gli open data come base per il proprio software o le proprie applicazioni. Attualmente il mercato delle app che utilizza open data è in costante crescita.
Infine anche le testate giornalistiche possono trarre dei benefici dalla disponibilità dei dati aperti. Negli ultimi anni infatti sta salendo alla ribalta un nuovo tipo di giornalismo, il cosiddetto data journalism dove gli articoli son scritti sulla base di dati.
La rivoluzione digitale sta modificando il modo in cui vengono gestite le informazioni, quali sono le prospettive future?
Le informazioni e i dati in rete stanno acquistando sempre più valore, sappiamo bene che grosse compagnie come Google, Amazon, Apple e Facebook raccolgono continuamente informazioni su di noi, e di queste quelle che inseriamo direttamente e consapevolmente nel web sono solo una minima parte.
Sulla base di queste informazioni tali aziende fondano ormai la quasi totalità del loro business, per questo motivo vengono considerate di vitale importanza, ma lo sono anche per noi cittadini e dobbiamo esserne consapevoli. Diventano sempre più importanti man mano che la nostra cultura e le attività delle nostre vite sono sempre più legate al mondo digitale dove il libero accesso alle informazioni in rete diventa sempre più una cosa simile alla libertà in generale. Se non abbiamo pieno controllo sulle informazioni che ci riguardano perdiamo la libertà di controllare parte della nostra stessa esistenza.
In questo contesto concetti e filosofie come quelle del software libero, delle licenze aperte e open data sono appigli fondamentali attraverso i quali è possibile difendere le nostre libertà digitali che diventano centrali anche per quel che riguarda i nostri diritti come cittadini.
Far in modo che i dati pubblici (cioè quei dati prodotti con i soldi delle nostre tasse, che hanno a che fare con le nostre vite, le nostre attività, il nostro territorio) appartengano realmente a tutti e siano equamente accessibili, ci permette di avere una posizione più rilevante in questo contesto.
A questo bisogna però aggiungere che va portata avanti la sensibilizzazione sull’utilizzo e al contributo nei confronti del software libero e delle piattaforme di crowdsourcing che si basano su licenze aperte come OpenStreetMap e Wikipedia perché anche queste giocheranno un ruolo fondamentale nella difesa delle nostre libertà, non solo digitali.
Cosa vuol dire per voi innovare?
Vuol dire seminare la cultura della curiosità e quella del non dover smettere mai di imparare e studiare.
In un “tweet” cosa consigliate a chi vuol utilizzare gli open data?
Anche essere semplicemente un utilizzatore “consapevole” vuol dire dare un grosso contributo a questa filosofia e a tutta la società.
Ti ringrazio