L'altro giorno ho visto, in tv, un'intervista molto 'casalinga' di Lidia Ravera, che mostrava la sua casa a Roma, parlando di scelte d'arredamento, opzioni di lettura e di se stessa. Tra un'infinità di foto, da quando era più giovane a oggi. Sempre straordinaria.
In questa 'chiacchiera' informale - tra un ambiente e l'altro della casa (credo fosse la Tv Marcopolo, ma non ne sono certo...) - Lidia Ravera osservava che il proprio stile di scrittura e l'evoluzione narrativa delle sue opere - partendo dal lontanissimo in tutti i sensi 'Porci con le ali' ha raggiunto una maturità e una ricercatezza molto alte.
Ecco, questo libro, per sintetizzar, ha due fronti da analizzare.
Il primo è proprio quello dello stile.
La complessità delle frasi, la ricerca assoluta delle parole, la voglia di stupire il lettore senza perdere per strada la storia e la sua comprensione narrativa, rende questo libro formidabile ed estremamente appagante dal punto di vista intellettuale. Io mi sono perso nelle pagine, talvolta solo nel gioco della lettura delle parole stesse, dimenticandomi di seguire il filo della storia che si stava sviluppando. Credo che questo sia il primo libro in vita mia che l'ho letto due volte, in contemporanea. La prima per seguire questa drammatica storia. La seconda solo per assaporare come è scritto, per ascoltare il suo ritmo, per fare mia la musica che tracimava dalla righe.
Poi c'è la storia, tanto drammatica, tanto angosciosa, tanto maledettamente attuale, tanto 'personale'. Per la società raccontata nel libro, io sarei a circa due anni e mezzo dal ritiro, a seguito dell'artificiale esclusione dalla comunità produttiva.
Se dicessi che questa lettura non mi abbia sconvolto, racconterei una bugia.
È uno schiaffo un po' goliardico nella sua denuncia, ma sonoro e molto, molto doloroso.
Il tema della rottamazione che tanto ci appassiona oggi, nel libro diventa strategia politica e sociale, fino a delineare con grande cura l'anno in cui uno debba sparire, ritirarsi, per lasciare spazio ai giovani sempre più frementi e sempre più impreparati.
Il leader Maximo, fautore con la sua cricca della nuova società e della nuova ideologia, guarda caso indossa camicie bianche, è giovane e scattante, memorizza tutto alla velocità della luce nono stante non abbia una gran cultura, ha occupato tutto, e soprattutto, a differenza del popolo bue, si è garantito una sorte di immortalità che gli consenta di scavalcare impunemente i limiti di età imposti agli altri.
La storia è una denuncia politica, anagrafica, e culturale. Oltre a essere una bellissima fiaba d'amore di un uomo e di una donna che non sopportano di stare lontani tra loro.
E che uniti si oppongono alla status quo, gettando un seme per una rivolta che nel sottofondo del libro sembra prendere piede.
La Ravera qui si è superata.
La mia mente e i miei occhi ringraziano del bellissimo libro.