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Gli ultimi istanti di una grande illusione, fra crisi economica e sfiducia nella democrazia

Creato il 07 novembre 2011 da David Incamicia @FuoriOndaBlog
Gli ultimi istanti di una grande illusione, fra crisi economica e sfiducia nella democrazia
Il presidente del consiglio se ne faccia una ragione: tutto quanto sta avvenendo intorno a lui dimostra in modo spietato e inconfutabile che l'Italia, l'Europa e perfino il mondo vivono già nel "dopo Berlusconi". Ogni presa di posizione pubblica assunta negli ambienti economici e finanziari e da parte delle istituzioni internazionali, così come pure, finalmente, nella sua più ristretta cerchia di collaboratori, riducono l'atteggiamento di pervicace resistenza del premier a una penosa recita da "ultimo giapponese", rinchiuso nel bunker di una favola che non esiste più. Sempre più soggetti, infatti, lavorano ormai da tempo alla costruzione di un nuovo assetto sulle macerie del berlusconismo, per provare certo a riciclarsi e ad assicurarsi un futuro personale ma anche per somministrare la cura necessaria alla Nazione nel tentativo di rinsavirla dagli effetti mortiferi di un ventennio agli sgoccioli."Lascia!", è questo l'appello che con ricorrenza quasi drammatica viene rivolto all'inquilino di Palazzo Chigi non più solo dai vari Bersani e Fini ma addirittura dai fidati Alfano, Letta e Ferrara. Interdetti come ogni italiano di buon senso di fronte all'ennesima sortita avulsa dalla realtà, che disegna un Paese immerso nel benessere il cui problema principale sarebbero i ristoranti sempre stracolmi e non invece, come ha ricordato Beppe Pisanu, le mense della Caritas a cui si rivolgono migliaia di vecchi e nuovi poveri.Continuare ad asserragliarsi in difesa di un'illusione non ha dunque più senso. E' ciò che pensano, non più sottovoce, molti uomini vicini al premier. Un altro segnale che quella appena iniziata sarà probabilmente la settimana decisiva per le sorti del governo e della seconda repubblica. E ripetere allo stremo che "i numeri ci sono", che "chi esce dalla maggioranza tradisce l'Italia", magari confidando anche questa volta nelle poltrone e nei cospicui assegni da elargire a Montecitorio, a poco potrà servire. Le minacce e le lusinghe sono fuori tempo massimo, nessuno può francamente più credere alle alchimie che per anni hanno incantato il Paese ma che adesso si rivelano per quello che sono sempre state: miserrimi trucchetti di un conclamato ciarlatano.La maggioranza non c'è più, anche se per il solito "stellone" dovesse spuntare un ennesimo Scilipoti o un irrequieto Pannella di vantaggio a certificare la prosecuzione dell'agonia. E' solo questione di ore, di giorni, al massimo di settimane. E poi ci risveglieremo dal torpore che per quasi vent'anni ci ha catturato l'anima e la ragione. "Inutile accanirsi", ha sentenziato ieri sera il ministro Maroni ospite di Fabio Fazio. Sì, è proprio il crollo di un mondo incantato. Costruito sulla menzogna e sull'anteposizione dell'interesse privato ai bisogni della collettività. Tempo fa i vertici ecclesiastici avevano parlato, sancendo l'avvio del processo di smarcamento dal berlusconismo, di "disastro antropologico" per l'Italia.
Proprio la vicenda berlusconiana, ricondotta entro i confini di un'analisi umana e sociologica più razionale, ricorda le storie di tanti satrapi del passato (anche più recente) nei quali a spiccare era il lato paranoico del potere finalizzato a tenere con ogni mezzo lontano da se stessi il rischio della decadenza e dell'oblio. Naturalmente, in modo del tutto furbesco e truffaldino ricorrendo alla rozza propaganda e alle "macchine del fango" delle rispettive epoche.
Alcuni attenti osservatori hanno proprio di recente fatto notare come uno straordinario documento di questa morbosa forma di "alienazione paranoica" di Berlusconi sia la lettera d'intenti inviata alle autorità europee. E' dattiloscritta con corpo di testo minuscolo e racchiusa da due righe vergate invece a penna di dimensioni più grandi: in alto, l'intestazione "Caro Herman e Caro José Manuel"; in basso, il saluto "un forte abbraccio, Silvio". Quest'ultima espressione di congedo, in particolare, risalta sul foglio con il nome Silvio scritto quasi a caratteri cubitali. Non è forse un gesto evidente di megalomania, simile ad altre esuberanze fisiche e verbali che hanno contraddistinto la cifra umana del personaggio in questo lungo lasso temporale? Oggettivamente, si tratta di atteggiamenti legittimati anche dall'irresponsabilità di certa stampa e televisione, e assurti a modello politico e culturale, che hanno sfibrato l'umore sociale della nostra comunità nazionale.
Una stanchezza che si percepisce fortemente nel Paese, investendo partiti e istituzioni con la solida eccezione del Presidente Napolitano. I cittadini, come evidenza l'ultimo sondaggio di Demos, sono ormai sfiduciati rispetto alla stesse regole di rappresentanza democratica. Un sentimento che continua ad erodere il consenso verso la sfera pubblica e ad accrescere l'area del dissenso e dell'indifferenza. Anche se i due terzi degli intervistati restano convinti che, tutto sommato, "la democrazia è preferibile a qualsiasi altra forma di governo", a destare scalpore e inquietudine è quell'italiano su tre che pensa invece che fra "autoritario o democratico non c'è differenza". Approccio potenzialmente funesto, diffusosi soprattutto negli ultimi dieci anni (chi governa il nostro Paese quasi ininterrottamente dal 2001?).
Altro aspetto rilevante, ma a osservare bene non del tutto ingiustificato, è che il disincanto democratico è andato crescendo specialmente fra gli individui di età compresa fra i 18 e i 29 anni, con picchi notevoli e inattesi di condivisione nell'elettorato di centrodestra (il 31% tra gli elettori del Pdl, addirittura il 34% tra i leghisti). Insomma, l'assetto democratico italiano è messo assai male e le cause vanno ricercate esclusivamente al suo interno. E' sufficiente pensare al continuo mercimonio messo in scena dentro il parlamento, o al modo assolutamente inefficace in cui è stata affrontata dalla "casta" la crisi economica e finanziaria che attanaglia da anni il Paese.
D'altro canto, mentre è finalmente chiaro a tutti che a dettare le regole di convivenza civile sono i mercati internazionali, la disillusione degli italiani è determinata innanzitutto dalle questioni interne. Oggi appena il 20% dei cittadini considera il governo eletto a furor di popolo nel 2008 - di certo non per rimediare ai mille guai giudiziari del premier o per coprire i suoi altrettanti conflitti di interesse - adeguato alla gravità del compito e soltanto due elettori su dieci nutrono fiducia nelle capacità del presidente del consiglio di affrontare e risolvere le urgenti questioni generali. La stessa opposizione, del resto, che sarà costretta dal crollo di consensi dell'attuale maggioranza ad assurgere a ruoli di responsabilità, non se la passa molto bene nei giudizi espressi dalla gente.
Le "distrazioni" e gli egoismi della classe politica nel suo complesso, seppure con un grado di colpa differente nella percezione collettiva, si scontrano con le quotidiane preoccupazioni degli italiani tutte assorbite dalla crisi economica. I privilegi di parlamentari e amministratori pubblici non vengono più sopportati e hanno alimentato il clima di "antipolitica" che, all'atto pratico, si traduce nell'idiosincrasia verso la stessa democrazia rilevata e analizzata da Demos. Il declino è toccato con mano in ogni settore della vita del Paese, sfociando spesso in impeti di tipo ribellista che non cercano semplicemente "il cambiamento", come ad esempio agli inizi degli anni '90, ma incarnano quasi una sensibilità nichilista attraverso il desiderio spontaneo e irrazionale di annientare ogni struttura sistemica.
Ma Berlusconi e chi ancora si aggrappa a lui, nonostante tutto, ritengono di essere insostituibili e indispensabili agli equilibri del Paese. E rispolverano anche in queste ore, sfidando il "feroce" disincanto della società, la consueta ipocrisia d'ordinanza per tentare di sopravvivere all'inevitabile. Ecchisenefrega se lo spread oggi ha sfiorato i 490 punti e la borsa ha subito l'ennesimo tracollo, in parte attenuato quando si sono rincorse le voci delle tanto sospirate dimissioni del premier. Lui non molla. Fra l'uscita di scena nella finzione di essere stato comunque uno statista e la cacciata brutale per mano dell'Europa che conta, pare aver optato per la seconda ipotesi. Con la fatale conseguenza di consegnarsi a una meritata "Piazzale Loreto" giudiziaria.
E' una fine indegna, che lo espone alla tragica consapevolezza di aver fallito come leader politico e uomo di governo, al di là dei "bunga-bunga" e delle squallide barzellette, delle inopportune frequentazioni e delle innumerevoli leggi ad personam. E che dovrà indurre la società italiana a una complessa analisi su se stessa, per capire le reali ragioni che l'hanno portata ad affidarsi per 17 anni a una grande illusione senza senso e per evitare - stavolta sul serio! - di ricadere in avvenire daccapo in errore. Come ancora stamane alcuni organi di informazione di certo non ostili al premier hanno rilevato, la storia ci racconterà appunto e soprattutto di un sogno mai divenuto realtà, di un miracolo disatteso, di una grande rivoluzione liberale rimasta incompiuta o mai cominciata per davvero.
Forse è questo specchiarsi nel proprio disastro che fa più male a Berlusconi, e umanamente è perfino comprensibile. Ma ora non è il momento dei cedimenti sentimentali o dei buonismi crepuscolari: bisogna mandarlo via di corsa e con ogni mezzo che la malandata democrazia italiana consente. Per salvare quel poco di dignità che ancora ci rimane e per evitare, soprattutto, che per un cinico e beffardo contrappasso siano le masse furenti a mandare a casa la democrazia stessa.

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