Del mafioso pelato ne ho già parlato tanto, troppo rispetto a ciò che vale, e cioè meno che niente.
Uno nato a Caltagirone da genitori profondamente meridionali che, avendo trascorso alcuni anni dell’infanzia in Toscana, rinnega le proprie origini, anzi, se ne vergogna ed esce con frasi come: “È un’idea che è venuta dalla mia Toscana”, mentre sorride come un ebete e gli occhi si fanno falsamente lucidi, che uomo è?
Uno che, in occasione delle premiazioni organizzate dalla sua miserabile azienda, si veste come se dovesse prendere la cresima, sempre con lo stesso completino gessato da mafioso di periferia e che, per di più, sale sul palco per mostrarsi, per fame di notorietà, per atteggiarsi a manager di successo, che uomo è?
Uno che insiste nel dire, malgrado gli si attorcigli immancabilmente la lingua e ne esca un qualcosa di comicamente irresistibile: “croisette”, tanto per far vedere che il Festival della Pubblicità di Cannes è il suo pane quotidiano, che uomo è?
Ma non è di lui che voglio parlare. Troppo facile dire che uno scarafaggio vive nella sporcizia e nei rifiuti, che un pidocchio succhia sangue a sbafo, che un insetto stercorario colleziona palline della merda altrui, o che la tenia sopravvive a spese dei suoi ospiti.
Voglio parlare di chi, volontariamente, si sottomette al padrone, ne fa l’interesse, sguazza nel doppio gioco e, a volte, anche nel triplo, col risultato di diventare schiavo, giullare e servitore.
Gente che si sottomette schiamazzando come una gallina, ma cagando ogni giorno l’uovo richiesto, accontentandosi di un pugno di mais e della sua stessa merda.
Una è M., la responsabile di redazione fin dalla prima ora insieme a me e al mafioso pelato. Figlia di un carabiniere, bionda come tanti siciliani, un viso quasi angelico piantato in un corpo da scaricatore di porto. Sempre pronta alla battuta greve, al linguaggio sporco, si meraviglia che le sue grandi tette non abbiano mai sortito alcun effetto nei miei confronti. Doppiogiochista di lungo corso, abile nel seminare malcontento quanto pronta nel riferire le lamentazioni altrui. Pettegola all’inverosimile, al solo scopo di rafforzare la propria posizione, me la sono ritrovata al mare, in una visita di cortesia durante le vacanze, senza capirne il motivo e senza ricavarne alcun elemento utile. L’ultima volta che l’ho sentita è stata per chiederle delle riviste che intendevo usare per la causa al mafioso pelato; mi ha mentito dicendo che erano esaurite. Da allora il silenzio.
S. è una ragazza di Trieste pazza come un cavallo, preda di crisi depressive tremende, strafatta di psicofarmaci, incapace in certi giorni, di capire le frasi più elementari. Come possa essere laureata in psicologia resta uno dei più grandi misteri insoluti della mia carriera lavorativa. Faccina smunta, corpo da contadina friulana, sorriso da Joker, lesbica per paura degli uomini. Anche lei, chissà perché, ci ha fatto la solita visita di cortesia durante le vacanze, accompagnata dall’amica così chiaramente gay da mettere soggezione. Dopo la cena, che ho offerto come si conviene a un gentiluomo, è scomparsa dalla faccia della terra.
C. è invece una ragazza dalla voce squillante e femminile come raramente capita di sentirne. Peccato che alberghi in una tipina slavata, smunta e bruttina, con tanto di occhiali da miope. Una voce che non deve ingannare, perché nasconde un carattere e un pensiero che definire reazionari è forse poco. Un’anima doppia, insensibile, ingrata. Le tante moine e birignao che scambiavamo durante le telefonate di lavoro, sono finite nella spazzatura insieme a me. Mai più risentita.
Altra C., ragazza sarda e, come tale, imprevedibile e frignona. Le telefonate con lei erano una sequela di lamentele, piagnistei e scaricabarile per mascherare la sua pigrizia. Di una permalosità esemplare. Ora lavora in un’altra redazione, è stata mandata in Canada per le Olimpiadi Invernali, ma mi ignora deliberatamente.
Parlare di T. è come sparare sulla croce rossa. Uno degli uomini più brutti che mi sia mai capitato d’incontrare. La mia stessa età, pochi capelli, un angioma mal nascosto dalla barba incolta, sovrappeso, bassotto e mal vestito. Pensavo fosse un emerito sfigato, uno di quegli sgobboni che non fanno altro che lavorare e spiare donne nude su internet. Poi salta fuori che è pure sposato e ha avuto il coraggio di fare anche due figli. Vedo su linkedin che ha frequentato medie e liceo una delle scuole private bilingui più prestigiose di Milano, ovvero l’Istituto Leone XIII. Qualche anno in giro per il mondo al seguito del padre ingegnere e un diploma triennale in giornalismo televisivo allo IED. Insomma, uno che si è dato da fare, tranne che durante la collaborazione col mafioso pelato, periodo nel quale non è mai riuscito a rispettare alcuna scadenza, scaricando le responsabilità verso tutto e tutti. Poi ho saputo che passava le sue giornate lavorative scaricando film, navigando in internet e imbambolandosi davanti al computer. Mi ha ispirato da subito un’antipatia genetica, comunque reciproca. Malgrado i bonus avuti per la sua formazione e che non ha saputo utilizzare come si deve, penso sia un coglione, stupido e sfigato. Senza malizia, s’intende.
Le altre persone che ho avuto modo di conoscere lavorando per il mafioso pelato, sono quanto di più insulso e intellettualmente inutile si possa immaginare, e quindi non valgono nemmeno il tempo di darne conto.
E con questo, se non subentreranno ulteriori novità, ho deciso di chiudere definitivamente il discorso mafioso pelato. Vorrei ci fosse anzi un modo per cancellarlo dalla mia mente, far sì che non ne possa nemmeno immaginare l’esistenza, cancellare l’esperienza di averlo conosciuto. Però, se un giorno dovessi incontrarlo per strada, sono certo che mi farei qualche mese di galera.PS: si nota che sono ancora estremamente incazzato?
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