Global Tufta, ovvero come ci prendono in giro

Creato il 16 agosto 2014 da Albertocapece

Tufta è un termine armeno che indica grosso modo una persona presa per i fondelli, oppure con singolare assonanza con l’italiano una truffa. Con questo termine nell’ultima era dell’Unione Sovietica veniva stigmatizzata l’abitudine delle alte sfere di falsificare le analisi e le statistiche per creare una realtà artificiale. Una tradizione che è stata gloriosamente ripresa dal neoliberismo per asserire le sue verità e concimare con dati fasulli la narrazione mediatica dell’universo mercatista.

Se una fede religiosa ha i suoi miracoli per combattere l’istintivo scetticismo, la scienza economica ha le sue statistiche e i suoi numeri per risvegliare credenze anche quando urtano contro l’evidenza. Certo non è così semplice perché la realtà è una brutta bestia, ma si sa che la speranza in una condizione migliore è anche il sentimento più facile da accontentare. Così se i dati sull’inflazione sono sempre gestiti dai governi, com’è ben noto, attraverso rilevazioni, strumenti di calcolo e pesature che nell’insieme permettono una grande elasticità di risultato, dal 2008 siamo bombardati dalla luce in fondo al tunnel e cioè da previsioni che regolarmente falliscono e rinviano all’anno dopo l’immancabile ripresa. Il passaggio dal 2013 al 2014 è stato particolarmente curioso perché non una delle previsioni si è avverata in nessuna parte del mondo, tanto che si è ricorso a spiegazioni climatiche sia per gli Usa che per l’Olanda e il Belgio e ultimamente anche per la Germania dove il calo della produzione industriale sarebbe stato dovuto all’inverno particolarmente mite. Si tratta di pure e imbarazzanti sciocchezze non fosse altro perché una certa condizione climatica se frena certe attività e consumi, ne aumenta altri, ma una cosa è assolutamente chiara: o gli analisti si servono volutamente di strumenti inadeguati o estraggono a sorte i numeri oppure vanno dalla cartomante che probabilmente dà responsi consolatori.

Dentro questo quadro complessivo non è nemmeno molto difficile esaltare l’eventuale crescita o minimizzare le perdite, modulandole secondo le opportunità, ma in generale per evitare che la promessa secondo la quale abbandonandosi agli spiriti animali e al mercato tutti staremo meglio, si riveli fasulla: se credi la statistica sarà benigna, se dubiti ti colpirà come un monito e ti mostrerà quanto sia eretico non partecipare all’ottimismo e quanto meschino sia non credere al merito. Certo è un po’ strano  che da 35 anni a questa parte gli Stati Uniti si siano trasformati dal paese delle opportunità in quello con la minore mobilità sociale al mondo, ma questo non ci distoglie dall’idea che i ricchi siano i nuovi giusti nei confronti dei quali le regole e anche le leggi debbono piegarsi, mentre i poveri siano i nuovi eretici la cui condizione deriva esclusivamente dal loro scarso valore.

Tutto questo come ha scritto il sociologo belga Paul Verhaeghe, abbastanza noto nel mondo, ma pressoché  sconosciuto da noi, nella sua qualità di fastidioso solone nonché professorone, viviamo in un mondo di valutazioni, monitoraggi,  controlli e sorveglianza il cui scopo è punire i perdenti e gratificare i vincenti. Peccato che questi ultimi siano sempre gli stessi ormai per diritto ereditario e che mai il merito è contato di meno, cosa del resto più che ovvia in un’economia dove il lavoro è avvilito e i soldi si fanno attraverso il soldi. Persino l’ossessiva numerologia nella quale siamo immersi diventa uno strumento per sostenere l’attiva partecipazione delle vittime tenendole dentro la gabbia delle proprie illusioni attentamente coltivate dagli “educatori” globali.  E rinverdite a colpi di Tufta.


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