Con le sue 187 sculture di figure umane e le 101 raffigurazioni di animali il Duomo di Fidenza racconta di se nel nuovo libro del prof. Fausto Negri, presentato il 19 settembre 2015 al Teatro Magnani di Fidenza.
L'APPROFONDIMENTO: Chi era frate gherardo
Frate Gherardo, ovvero Gherardino Segalello, o Gherardo Segalelli, da Ozzano Taro, forse dalla località di Segalara (da qui il nome), intorno al 1260. Tradizione vuole che Gherardino chiese di essere accolto nel convento dei frati minori di Parma, venendone, però, respinto. Fu così che vendette i suoi averi, e con disprezzo gettò letteralmente il denaro ricavato per iniziare una vita vagabondante ispirata alla povertà, fatta di assistenza ai malati e ai bisognosi. Lui e i suoi seguaci, votati alla preghiera e alle elemosine, per differenziarsi dai francescani “conventuali”, si fecero chiamare “Apostolici” (o “Minimi”), conducendo una vita a imitazione di Cristo e dei primi apostoli ed evidenziare la loro collocazione al livello più basso della scala sociale. Nel convulso scenario sociale dell’Italia Centro-Settentrionale di quel tempo, quella degli Apostolici conobbe una vasta credibilità popolare, soprattutto nelle città emiliane. Testimonianze storiche di quel periodo, annotate con stupore anche dal frate minore Salimbene de Adam, uno dei più accesi critici dello stesso Segalelli, riferiscono che la gente accorreva ad ascoltare i sermoni di questi nuovi predicatori svuotando le chiese degli ordini mendicanti.
Conducevano una vita semplice fatta di digiuni e preghiere, vivendo di carità. E La loro scelta di assoluta povertà, che si traduceva in rifiuto di qualsivoglia gerarchia, e il loro spiritualismo, intriso di misticismo e nomadismo, erano visti dal “popolo” come tratti salienti di una comunità libera e aperta, rinnovatrice del messaggio cristiano. Perfettamente inseriti nelle attese millenaristiche così diffuse nella metà del Duecento, ispirate dalle profezie di Gioacchino da Fiore (non a caso il Segalelli comincia la sua predicazione, se non in concomitanza, poco dopo il movimento dei flagellanti), gli Apostolici richiamavano al pentimento: la loro massima più famosa e tramandataci era “Poenitentiam agite” (fate penitenza), contaminato poi in Penitençagite. Il loro fu un movimento aperto, capace di accogliere istanze ed esperienze religiose e sociali diverse, dai valdesi ai gioachimiti, compresi molti “fraticelli”, quei francescani appartenenti alla corrente “spirituale” che osservavano alla lettera la Regola ed il Testamento di Francesco d’Assisi, mantenendo inalterato lo stile di vita originario predicato dal santo, basato sulla povertà e rinuncia di ogni privilegio.La cosa che più colpisce, leggendo i processi contro gli Apostolici negli anni a cavallo tra fine Duecento ed il Trecento, è che non si possono individuare accuse specifiche e tali che, sulla base del diritto canonico e dei decreti pontificali, potessero far delineare apertamente il reato di eresia, come, ad esempio, per il dualismo dei catari. Il movimento degli apostolici, infatti, non aveva una vera e propria dottrina e non proponeva particolari letture e interpretazioni del Vangelo, se non un rapporto più coerente con il primitivo messaggio cristiano. I germi di questo atteggiamento ostile da parte delle gerarchie ecclesiastiche li troviamo nel già citato Salimbene de Adam, la principale fonte storica a riguardo della vicenda del Segalelli. Nella sua "Cronaca" apostrofa gli Apostolici con tutta una serie di epiteti ingiuriosi, come porcari, idioti, illetterati, stolti, e, significativamente, usa come spregiativo anche la parola "laici". Ed è, forse, proprio questa parola, usata come insulto, la chiave che ci permette di comprendere tutta la vicenda. Salimbene, infatti, che è un francescano conventuale, patisce la "competizione" che gli Apostolici suscitano nei confronti del suo ordine, e ritiene inconcepibile che dei semplici laici possano parlare di dio. Quella di Gherardo è invece un’apertura al mondo dei laici: tutti possono annunciare dio senza bisogno di prendere voti (con duecento anni di anticipo rispetto al sacerdozio universale predicato da Martin Lutero). Coglie nel segno poiché, rispetto ai movimenti pauperistici ed ereticali precedenti, la vera novità del messaggio di Gherardo, e di Dolcino da Novara poi, il suo epigono, fu la rivendicazione e affermazione del diritto di ognuno a vivere la propria esperienza religiosa autonomamente, sostenendo che il rapporto diretto tra Dio e il cristiano dovesse realizzarsi senza l’intermediazione ecclesiastica. E’ questa la “vera” e, forse, più pericolosa eresia ed è questo il vero senso della frase più famosa che ci è rimasta di Segalello: “poenitentiagite, quia appropinquabit Regnum Coelorum”. Non è un Regno dei Cieli astratto, ma ben concreto, è una comunione di ideali ispirata alla rinuncia, alla povertà, per poter incontrare dio che ci viene incontro, non nell’al di là, ma oggi, nella vita di tutti i giorni: è oggi che si deve agire. La “Chiesa” di Gherardo è una chiesa che cammina nel mondo a fianco del povero e dell’emarginato; professa un Dio accondiscendente verso tutti coloro che vivono in povertà e a imitazione di Cristo. In altre parole è il Vangelo"sine glossa", il Vangelo di Francesco, senza compromessi, da qui la rinuncia a ogni pur minima forma di accumulazione e la comunione dei beni, il rifiuto di qualsiasi gerarchia nella comunità apostolica, e l'eguaglianza tra uomini e donne, così ben sintetizzato nel rito apostolico della “expoliatio” o “expropriatio” a cui dovevano sottostare i nuovi fedeli, che, riuniti in cerchio, dovevano disfarsi dei propri abiti per ricevere come unico indumento un saio fatto di rozza tela di sacco. Un pauperismo così integrale rese la comunità apostolica una comunità itinerante, senza nessuna sede fissa, casa o convento e al suo interno non vi era distinzione di ruoli: tutti i fedeli erano pari e lo stesso Segalelli si rifiutò sempre di essere riconosciuto come capo o guida spirituale. Forti sono, dunque, le analogie con Francesco. Anche lui è un cantore, o per meglio dire un giullare, della “semplicitas”, del non possedere nulla, unica condizione possibile per incontrare Dio ed essere liberi dai condizionamenti materiali. Anche nel modo di comunicare con il popolo sono simili: entrambi cercavano di attirare l’attenzione dei fedeli ricorrendo alla teatralità, agli atteggiamenti giocosi, all'uso del volgare per essere capiti dal popolo minuto. Altra analogia con il santo di Assisi è l’importanza che avevano le donne all’interno del movimento (pensiamo al peso che ebbe per Francesco la figura di Chiara). Con Gherardo, però, si va oltre poiché la donna apostolica aveva la stessa dignità e rispetto dei suoi compagni, predicando come loro (emblematica a questo riguardo è Margherita di Trento, figura leader come e assieme a Dolcino nella resistenza in Alta Valgrande, la valle principale del sistema di valli chiamato Valsesia, e sul Monte Rubello nel Biellese). Il rapporto uomo-donna conobbe un’evoluzione così spinta tale da non riconoscere come sacramento il matrimonio, sostenendo, piuttosto, una libera convivenza, liberando la donna da quella concezione patrimoniale, tipica per la mentalità di quel tempo, che la riduceva a “proprietà” dell’uomo. E’ facile immaginare come una tale concezione fosse ritenuta scandalosa per la Chiesa romana. Non solo, gli Apostolici affermavano anche che il corpo non era inferiore rispetto all’anima, ma che ne era unito, negando, in questo modo, l’utilità della costrizione. Molto più opportuno, piuttosto che negare la propria natura, era sostenere una libertà consapevole e responsabile, dove la sessualità assume un valore importante, inteso come linguaggio, comunicazione, “dell’amore”. L’unione fisica di una donna e di un uomo (senza la quale non v’è generazione), era concepita come dono di Dio, del tutto naturale come il germogliare degli alberi a primavera. La castità, perciò, viene intesa dagli Apostolici non come un obbligo ma come un gesto volontario, un modo per perfezionarsi, comunque a discrezione del singolo. Avere rapporti sessuali è umano, è una condizione assolutamente naturale e come tale viene considerata, senza complessi, mostrando, in questo modo, una concezione moderna ma non per questo depravata. Il mondo umile e povero di Segalello, il suo rovesciamento dei valori rispetto alla società vigente, è comune a quello di Francesco. “Seguire nudi il Cristo nudo” è il messaggio di entrambi. Agli occhi dei suoi contemporanei, il Segalelli è un secondo Francesco, non quello consegnatoci dalla tradizione successiva, frutto della rivisitazione operata da Bonaventura da Bagnoregio, generale dell'ordine francescano dopo Giovanni da Parma, che emarginò in tutti i modi i francescani “spirituali”, falsificando la figura di Francesco d'Assisi, privandolo dei suoi contenuti più innovatori e clamorosi. Il Segalelli, però, va oltre poiché annuncia (e aspira) ad una chiesa unicamente spirituale, sganciata dal potere temporale (pensiero che è alla base del moderno concetto di separazione tra stato e chiesa). La “comunità” apostolica anticipa anche il principio di uguaglianza moderno ed attuale, così diverso dalla “dipendenza” in vigore nella società feudale e nella gerarchia ecclesiale. Predicare l’incontro diretto tra l'uomo e Dio, per la mentalità dell’epoca, era un atto di libertà estremo: l'unico obbligo che viene riconosciuto è di tipo interiore, mai esteriore. Tesi, questa che portata nelle estreme conseguenze, conduceva a ritenere implicitamente superflua un’organizzazione gerarchica come quella ecclesiastica, intesa come mediazione tra l’uomo e Dio. È questo il motivo principale per cui Gherardo verrà giudicato eretico dalla Chiesa di Roma nel 1300, anno del primo Giubileo, oltre 30 anni dopo l'inizio della sua predicazione, quando, impegnata più che mai a reprimere il dissenso e a perseguitare chi criticava il comportamento dei suoi ministri, anche i più indegni, non poteva certo tollerare una simile ed incomoda presenza. Dapprima, con Papa Gregorio X (1271-1276), nel 1274 al II Concilio di Lione, si proibì la fondazione di nuovi movimenti religiosi mendicanti e si stabilì l’obbligo per quelli esistenti di confluire in organizzazioni ufficialmente approvate dal clero. Quindi, dato che gli Apostolici ben si guardarono di adeguarsi alle direttive imposte, sotto Papa Onorio IV (1285-1287), preoccupato per il diffondersi della setta, fu promulgata, nel 1286, durante il Concilio di Würzburg, la bolla papale Olim felicis recordationis, che ribadiva la condanna del loro movimento, imitato da Papa Niccolò IV (1288-1292), che rinnovò nel 1290 un’analoga sentenza contraria. Nel 1294 Gherardino Segalello, dopo essere già stato in precedenza incarcerato, venne condannato al carcere perpetuo, mentre due uomini e due donne apostoliche vennero condotti al rogo. Questa disparità di trattamento riservata al fondatore, dimostra a sufficienza la benevola predisposizione del vescovo di Parma, Obizzo Sanvitali, nei confronti dell’eretico, il quale, già nel 1269, aveva addirittura raccomandato alla carità dei fedeli verso gli apostolici. Non potendo o non volendo contrastare il Segalelli sul piano morale, l’Inquisizione, che prima aveva cercato di distruggere l’uomo calunniandolo e facendolo passare per un insano di mente, un esaltato od un rivoluzionario, riuscì a far trasferire il vescovo Sanvitali a Ravenna. Quindi l’inquisitore Manfredo da Parma lo processò e lo consegnò al braccio secolare. E, significativamente, Gherardo venne arso sul rogo il 18 luglio del 1300, quando sedeva a Roma sulla cattedra di Pietro un Papa, Bonifacio VIII (1294-1303), non certo tenero con i predicatori “irregolari” e i dissidenti.(http://www.mondimedievali.net/Medioevoereticale/movimento_apostolico.htm) http://feeds.feedburner.com/BlogFidentino-CronacheMarziane