In ritardo rispetto alla tabella di marcia mi trovo a scrivere dell’ultimo film visto lunedì sera al cinema. Non si tratta della solita pellicola dedicata all’amore travagliato che una donna nutre per un uomo, quanto di un punto di vista sul mondo della solitudine femminile affrontato con coraggio e grande voglia di riscattarsi.
Gloria è un lavoro cileno che ha visto la sua protagonista (Paulina Garcia) ottenere l’Orso d’argento come migliore attrice al Festival di Berlino 2013. Non è la solita operazione creata su un carnaio di pregiudizi, ma più su una visione di donna sulla sessantina che decide di rimettersi in gioco affrontando situazioni nuove, alle quali non aveva mai dato peso, dalle quali si era allontanata per paure e pregiudizi.
La ciclicità delle sequenze iniziale appesantisce la visione dello spettatore che imperterrito cerca di capire la vita che ruota attorno a una signora non più sposata, con due figli, impiegata, collocata in un momento storico attuale, in un passato che ritorna in momenti onirici che la portano a vivere alcuni istanti della contestazione giovanile, quando il Cile era coinvolto in manifestazioni e rivendicazioni dei propri diritti. Lei, qui, però, non rappresenta una nazione o un pensiero unico che s’incarna nel popolo, ma un tutt’altro, poiché cresce in divenire nella sua stessa vita.
Lo scenario politico pubblico appare solo in alcune sequenze, facendo da contorno a una profondità privata, concentrata nell’uso disperato di primi piani sulla diretta interprete.
Gloria scopre di avere un glaucoma. L’incontro con la malattia la costringe a essere dipendente da un collirio che dovrà mettere ogni giorno e che la renderà consapevole di una patologia che potrebbe portarla, con l’avanzare dell’età, a problemi di deambulazione e al restringimento del campo visivo.
Nel frattempo non rinuncia alle emozioni e per riscattarsi inizia a uscire: torna a ballare, incontrare gente, si ubriaca e ritrova il senso pieno delle cose.
Nel suo straniamento dal mondo reale incontra diversi uomini che la corteggiano, sembrano interessati alla sua femminilità, ma solo Rodolfo entrerà nella sua esistenza rilanciandola a sospirate emozioni.
Gloria sarà tradita ancora una volta dall’immaturità e dall’egoismo maschile ritrovandosi di colpo sola e abbandonata.
La colonna sonora raggiunge l’apice con l’ascolto di Gloria di Umberto Tozzi, in versione spagnola, quando l’attrice rifiuta, al momento giusto, un invito di un uomo. In quell’esatto momento, si toglie gli occhiali e si tuffa nell’immenso mondo dell’esistenza tornando a respirare a pieni polmoni la sua intimità.
Nel corso della proiezione sono presenti rimandi a una poesia di Pablo Neruda, compare in una citazione l’assassinato regista olandese Theo Van Gogh e si discute di social network in case di sociologi e studiosi borghesi.
Ci si accorge, in tutto questo, di quanto la trama possa essere tranquillamente ricondotta al saliscendi dell’Insostenibile leggerezza dell’essere di scrittore Milan Kundera.
Consigliato!
Ps: Pablo Larrain, regista di NO – I giorni dell’arcobaleno, di cui vi ho parlato Qui.
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