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Glyn Dillon: intervista con l’autore di “The Nao of Brown”, presto in Italia da Bao Publishing

Creato il 21 ottobre 2013 da Lospaziobianco.it @lospaziobianco

Glyn Dillon: intervista con l’autore di The Nao of Brown, presto in Italia da Bao Publishing In Evidenza Glyn Dillon Bao Publishing è un autore di fumetti britannico, fratello minore dello Steve Dillon di preachiana memoria, che dopo essere stato lontano dall’arte sequenziale per moltissimi anni, vi ha fatto ritorno alla fine dello scorso anno con la graphic novel The Nao of brown, vincitrice di un premio al Festival di Angouleme 2013 e che presto sarà presentata anche nel nostro paese da .
Con Glyn abbiamo parlato di cosa ha fatto nel periodo lontano dal fumetto, della sua famiglia piena di artisti e del segreto dietro il successo di Nao, di cui noi ci siamo occupati già all’inizio di quest’anno in un articolo che potete rileggere qui
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Ciao Glyn e grazie per la tua disponibilità.
Dunque, tu provieni da una famiglia di artisti: tuo fratello Steve è un fumettista conosciuto nel comicdom americano, ma anche tuo padre è un disegnatore. I tuoi genitori hanno assecondato fin da piccoli il talento grafico tuo e di tuo fratello e, oggi che siete due artisti affermati, vi confrontate tra voi e con vostro padre sui lavori che state facendo?
Mio padre è un artista, ma il suo mestiere era di disegnare insegne (o dipingerle) e, quando ancora non esistevano gli ingrandimenti fotografici, lui avrebbe disegnato una saponetta per la pubblicità di un sapone sulla fiancata di un camion. Oggi, con l’avvento delle lettere plastificate e delle novità in campo fotografico, i disegnatori d’insegne sono scomparsi, ad eccezione forse di quelli che dipingono chiatte.
I miei genitori hanno sempre sostenuto, e continuano a farlo, le mie scelte professionali. Sono stati fantastici al riguardo. Anche mio fratello mi ha sempre sostenuto ma, lontano da ogni forma di nepotismo, ha voluto che io ce la facessi da solo, non perché ero il suo fratellino. Ed io gli sono molto grato per questo.
Ma in verità io non mostro loro ciò su cui sto lavorando e non ne parliamo neanche molto.

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 Tu hai esordito come disegnatore di fumetti per poi stare oltre quindici lontano da questo medium, occupandoti di tutt’altro come realizzatore di storyboard e concept design per progetti televisivi e cinematografici. Pur restando nell’ambito della professione del disegnatore, ti sei allontanato molto dal terreno del fumetto vero e proprio. Da cosa è derivata questa scelta e perché hai alla fine deciso di tornare a fare fumetti?
Avevo l’ambizione di essere un regista e fare storyboard è stato il mio modo di cercare di raggiungere quest’obiettivo. Sono riuscito a dirigere un paio di cose, come questa  e questa… ma non molto di più. È facile lasciarsi andare lungo una strada che si pensava di voler percorrere. Mi c’è voluto un po’ per conoscere il settore del cinema e come funziona, il fatto che avere una buona idea non garantisca il successo, oppure che lo otterrà. Tanti fattori casuali si devono unire e allineare perfettamente per permettere a un film di decollare. Per sua natura un film è frutto di un processo collaborativo e un sacco di persone devono essere coinvolte. Questa situazione mi ha portato alla frustrazione e a capire che, se avessi portato avanti una mia idea con i miei tempi, passo dopo passo, alla fine avrei avuto qualcosa di finito. Con in più un controllo completo. Quando ero più giovane, mi mancava la pazienza e anelavo il processo collaborativo. Con Nao avevo capito di essere pronto a tornare, pronto per sgobbare a lungo e duramente. E mi è piaciuto molto, molto di più di quanto mi aspettassi.

Tornare al fumetto dopo un lungo periodo di assenza, per di più per la prima volta come autore completo, e ottenere il successo avuto da Nao of Brown, sicuramente deve averti riempito di orgoglio e soddisfazione. Ti aspettavi un’accoglienza così calorosa e numerosa, sia da parte del pubblico sia della critica, visto che l’opera ha anche vinto un premio allo scorso Festival del Fumetto di Angouleme?
No! Non me lo aspettavo affatto. In precedenza avevo scritto la prima stesura per una sceneggiatura, quando avevo ancora l’ambizione di fare il regista. Ma a parte questo, io non avevo mai scritto nulla, comunque nulla per il pubblico. Quindi ero nervoso su come la mia scrittura sarebbe stata accolta. Certamente non mi aspettavo di vincere a Angouleme, ero già entusiasta di essere tra le nomination.

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Tu e Jamie Hewlett (creatore di Tank Girl e cofondatore della band musicale dei Gorillaz) siete amici giusto? Entrambi vi siete allontanati dal fumetto per percorrere altre strade artistiche. Da quanto conosci Jamie e, come tu hai diretto il video dei GorillazTo Binge”, lui ha ricambiato in qualche modo durante la lavorazione della tua graphic novel?
Ho conosciuto Jamie quando avevo diciassette anni e lui mi ha preso sotto la sua ala protettrice (è tre anni più grande di me). Siamo stati amici, abbiamo condiviso lo studio e abitato assieme nel corso degli anni, lui è sempre stato una solida fonte d’ispirazione per me, non solo artisticamente, ma anche per la sua etica professionale.
Ma, quando ho iniziato Nao, ho lasciato il suo studio, volevo lavorare da casa in modo da essere più vicino alla mia famiglia. Così Jamie non ha davvero visto molto dell’opera fino a quando non l’ho finita e gli ho chiesto di scrivere qualcosa per la quarta di copertina.

Nao of Brown è davvero un’opera imponente: oltre duecento pagine per una graphic novel che parla di un tema assolutamente non semplice da presentare, il Disturbo Ossessivo-Compulsivo Puro (POCD). Qualche tempo fa tu hai detto di aver voluto fare un libro per chi soffre di DOC, tuttavia visto il successo e i dati di vendita della graphic novel, credo che tu sia riuscito ad arrivare a un pubblico ben più vasto. Questo è sicuramente un tuo merito come autore. Quale pensi siano state le motivazioni dietro l’ottimo riscontro ottenuto da Nao?
Ah, ah! Non lo so. Mi piacerebbe pensare che forse è perché ha significato molto per me personalmente … e ciò in qualche modo si percepisce attraverso l’opera. Chi lo sa? Se lo sapessi, sicuramente lo farei di nuovo nel mio prossimo libro.

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Nella nostra recensione abbiamo evidenziato come tu abbia introdotto alcuni argomenti importanti presenti in Nao, tra i quali Il tema del disagio interiore della protagonista, riletto dal punto di vista dei dettami del pensiero filosofico/medico orientale, attraverso l’artificio narrativo del “fumetto nel fumetto”, rappresentato dal manga-anime Ichi. Ti riconosci in quest’analisi o la vedi come una delle possibili interpretazioni del significato della tua opera?
Sì, lo condivido. La “storia nella storia” si rapporta con Nao su vari livelli, agisce come una sorta di specchio distorto della sua lotta interiore. Oltre a servire come una sorta di tregua dalla trama principale.

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La protagonista del tuo libro, Nao, è un “Hafu” (metà inglese, metà giapponese), così come un “Hafu” può essere definito Ichi, a metà tra il fumetto francese di Moebius e quello giapponese di Miyazaki, due autori che hai scelto di omaggiare. Quando e come ti è venuta l’idea di usare l’allegoria del fumetto nel fumetto per spiegare o evidenziare meglio vari passaggi narrativi della storia?
Beh, a essere onesti, originariamente la storia doveva vertere intorno a Gregory e alla sua ossessione per Ichi; in quei primi giorni era lui il protagonista e Nao doveva essere il suo interesse amoroso. Poi, dopo aver deciso che Nao avrebbe sofferto di DOC, lei è stata spinta al centro della scena e le varie parti hanno cominciato a combaciare meglio. È diventata una storia molto più interessante e a essere Nao ossessionata con Ichi aveva più senso.

È nata prima dentro di te la storia di Nao o il manga-anime Ichi e il suo protagonista? E, soprattutto, in futuro quest’ultimo potrebbe avere una sua vita propria, magari con un volume a lui dedicato?

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Sì, Ichi sicuramente è nato per primo. Infatti la mappa sulla parte interna della copertina è stata una delle prime cose.
Ci potrebbe essere più Ichi? Sì, credo di sì. Ho sempre immaginato l’universo di Ichi molto vasto, quindi sono sicuro che ci siano più storie che si trovano lì. Forse non avete notato questo nel libro, quando Nao e Steve stanno parlando in negozio.

Chiudiamo con uno sguardo al futuro: cosa sta facendo adesso Glyn Dillon e cosa riserva il futuro a noi amanti del fumetto che porti la sua firma?
Sto lavorando su alcuni film, nel reparto costumi come concept artist. E ‘molto divertente ma è un duro lavoro. Mi sto prendendo il mio tempo per ciò che riguarda un altro libro. Voglio aspettare fino a quando non avrò la stessa passione che ho sentito per Nao.

Intervista effettuata via email e conclusa il 24/09/2013

Traduzione di David Padovani
English version here 

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