GOAT – Commune (Rocket Recordings)

Creato il 22 settembre 2014 da Cicciorusso

Il difficile secondo album, una faccenda notoriamente complessa un po’ per tutti. Per gli svedesi del voodoo poi ci sono aspettative alte, un genere inclassificabile e nessun pubblico di riferimento ben definito da dover soddisfare. Mentre spingo play non so davvero cosa aspettarmi. “La band non ha inciso un (nome primo disco) parte II” è la più tipica delle considerazioni che si legge riguardo i secondi album. La formula è di per sé ambigua in quanto non contiene alcun valore intrinseco, è un po’ il trionfo del cerchiobottismo della critica musicale vecchia scuola. L’ho sempre interpretato come: il disco non pare granchè, forse è un po’ diverso, forse potrebbe deludere, forse ci hanno provato e forse boh… Tanto per dissipare subito ogni dubbio, non è questo il caso dei Goat. Commune è in tutto e per tutto un World Music capitolo secondo. La contiguità fra i due lavori è esplicita e riguarda sia aspetti di forma che di contenuto. Come il precedente disco, Commune mantiene una struttura circolare (inizio e fine sono speculari), le capre sono ancora presenti nei titoli così come gli occasionali intermezzi parlati spirituali e tutta una serie di accessori con i quali si è già avuto modo di familiarizzare. Dal punto di vista della sostanza vale lo stesso discorso, con una fondamentale differenza però: tutti gli elementi che componevano il suono del primo album sono riproposti e portati ad un nuovo livello.

Commune è un World Music in realtà aumentata. Dove prima c’era psichedelia ora ce n’è molta di più, il wah-wah in precedenza abbastanza defilato diviene qui occasionalmente padrone assoluto. Tutto è spinto un passo più avanti: le ritmiche dance, il tribalismo sbroccato e anche i riff da kebabbari (raffinata espressione in uso fra i metal skunkers per definire cose dal sapore vagamente mediorientale). La costruzione poi è perfetta, ci vogliono quattro brani prima di arrivare a quelli che sono i due potenziali singoli (Goatchild e Goatslaves) ma la progressione è impeccabile, così come il ripiegamento discendente che forma la seconda parte e va a chiudere il cerchio nel fuoco. Il risultato, a questo punto si sarà capito, è una figata totale. Sezioni super immersive si alternano ad altre parti in cui è davvero difficile non alzarsi per far muovere il culo. Confusione e riflessione, pancia e testa, il coinvolgimento è davvero totale e su livelli molteplici. Siamo in zona rossa disco dell’anno.

I Goat non sono alla tv, al Festivalbar o da nessuna altra parte e voi, fortunati lettori di Metal Skunk, siete tra i pochi ad avere il privilegio di sapere davvero cosa è fico o no a questo mondo. E se tra qualche mese saranno il gruppo preferito di orde di hipster con i baffi in stile Bava-Beccaris, voi potrete dire che già li ascoltavate da un pezzo e potrete guardare chiunque con aristocratico disprezzo. Pare una cazzata ma alle volte è una cosa importante.