Così ho sfogliato con attenzione le pagine di questa silloge d’esordio del giovane ingegnere Giuseppe Bonaccorso. Ma ho trovato gocce di cristallo (in Piango nel mare) e frammenti di un ego scomposto che si serve della poesia per ritrovarsi nella melodia nostalgica che pervade la raccolta, come rimedio a una situazione di disillusione.
Sogno e cado, dice il poeta (in Ricordo di un momento), augurandosi persino di poter credere ai fantasmi (in Melodia viola). È un animo inquieto, ora tremante tra le infinite palpebre/ che velano i bagliori/ infilzati nella mia anima (in E ancora tremo), ora in attesa in una nuvola di fumo (in Attendo), ora alla ricerca di qualcosa o qualcuno che soddisfi un bisogno non solo fisiologico (in Ho sete).
L’io poetico racconta senza esitazioni le proprie visioni e i propri sogni, talvolta annoiato come un ciottolo rugoso che ruzzola su un declivio a mezzanotte (in Noia), altre volte interrogativo (perché tutti i santi sono ormai morti e tutti i morti sono sempre santi? in Preghiera di novembre).
Così, tra un faro spento, un violoncello rauco e un sole ornato di carbone, l’autore ci mostra il suo universo iconico, in una prospettiva sinestetica che permette alle contraddizioni del reale di essere accolte nel mondo poetico, dando vita a una dimensione sospesa tra il visionario e l’effettivo.
Per questo lo stesso autore dichiara: non appena iniziai a capire/ un sussulto delirante mi svegliò (in Prima della mia ombra). Solo così si può comprendere la scelta del mercurio, che in sé è un’eccezione, dal momento che è l’unico metallo a presentarsi allo stato liquido a temperatura ordinaria; inoltre, si unisce facilmente ad altri metalli, ma raramente si trova libero in natura. Come i poeti, spesso imbrigliati dal proprio ego.
Susanna Maria de Candia
Giuseppe Bonaccorso, Gocce di mercurio, pp. 36, 6 euro.