GOG, Ironworks

Creato il 02 gennaio 2013 da The New Noise @TheNewNoiseIt

Ci sono ben quattro dischi di Mike Bjella sul catalogo incredibile di Utech Records, una delle migliori etichette sperimentali attive adesso. Il fondatore della label, Keith Utech da Milwaukee, ha scoperto Horseback e (anche se non per primo) i Locrian, due progetti poi finiti praticamente dritti su Relapse, in più si è mosso anche per avere gente già conosciuta sul catalogo, come Skullflower, Plotkin, Nadja… GOG, nonostante la bontà dei suoi lavori, quantomeno in Europa ha avuto un po’ meno copertura sia rispetto ai nomi nuovi ed emergenti sia in confronto a quelli più vecchi e “affermati”.

Quest’anno, a parte Ironworks, Mike aveva raccolto consensi grazie all’album In Our Architecture This Resounds, uscito per la King Of The Monsters di Mike Genz. Al di là delle differenze di stile con altri gruppi e tra i suoi stessi dischi, dal punto di vista musicale Bjella si trova in quel luogo sovraffollato nel quale s’incontrano doom e black metal, noise, sperimentazione e ambient/drone. Nel caso di Ironworks, il tocco insolito sta nell’aver usato quasi come “sezione ritmica” (assodato che è la chitarra a formare la texture più in evidenza dell’album) campionamenti dell’officina che la sua famiglia possiede e conduce da cent’anni. Ne esce fuori un disco spesso caotico e rumoroso, molto denso e nero, una specie di fiume di ferro (appunto). Questo non impedisce a Mike, che ha comunque un approccio vicino a quello dell’improvvisazione, di temperare queste parti fragorose con elementi di malinconia, siano questi inusuali (per lui) note di piano o passaggi più puliti e mesti di chitarra (vedi alla voce MGR di Mike Gallagher, tanto per citare un nome fermo da un paio d’anni, ma dello stesso giro).

Ironworks è un buon lavoro di genere, unitario nella sua anarchia e senza tempi morti. Non difetta nemmeno di originalità, viste le sorgenti sonore utilizzate. L’unico problema, ormai, sta davvero nella pletora di uscite in questo ambito, che finisce per abbassare l’interesse anche verso quelli nuovi e bravi se proprio non apportano cambiamenti macroscopici o non sfornano il capolavoro.

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