Going Clear: Scientology e la prigione della fede
di Alex Gibney
con Paul Haggis, Mike Binder, Marthy Rathbum
Usa, 2015
genere, documentario
durata, 120'
Quando, nel maggio del 2013 presentò al
festival di Cannes il suo
"Armstrong Lie", Alex Gibney era già un documentarista di fama mondiale,
grazie a un paio di lungometraggi come "Taxi to the Dark Side"
e "Enron: The Smartest Guy in the Room" che avevano avuto l'ardire di
interrogarsi su alcune delle questioni più scabrose del nostro tempo.
Pur occupandosi di fatti accaduti in ambito sportivo, la storia del
campione di ciclismo più acclamato dei nostri tempi, incastrato dalla
giustizia federale e costretto a confessare di aver vinto sette
Tour de France
grazie all'utilizzo di sostanze dopanti, era qualcosa che andava oltre
il semplice ritratto di una star caduta in disgrazia; "Armstrong Lie"
svelava infatti la menzogna di un uomo che era stata la speranza per
milioni di persone che, sulla scia del suo esempio - ricordiamo che il
ciclista all'inizio della sua carriera era stato colpito da un
cancro
dal quale era poi guarito - avevano creduto nella possibilità di
sconfiggere dolore e malattia.
Seppur occupandosi di tutt'altro
argomento, "Going Clear: Scientology e la prigione della fede" dimostra
l'intenzione di Gibney di proseguire nella direzione tracciata dal
penultimo lavoro, scegliendo di raccontare le vicende di un'altro falso
profeta, accusato, secondo le testimonianze raccolte da Gibney, di aver
carpito la buona fede di una sterminata moltitudine di credenti. In
questo caso, trattandosi di Ron Hubbard, il fondatore di Scientology,
saremo di fronte (è bene usare il condizionale perchè allo stato dei
fatti nessun reato è stato imputato ai presunti colpevoli) ad un caso
ben più grave, perchè la scopo del film è quello di dimostrare non solo
l'infondatezza dei dogmi professati da Hubbard ma soprattutto le
nefandezze commesse dal successore David Miscavige, l'uomo della svolta,
se è vero che sotto la sua guida, Scientology è diventata al tempo
stesso una religione ufficiale e un potentato economico, distribuito in
varie parti del globo, seppur con un numero di affiliati in leggera
decrescitai. Più che sulla biografia di Ron Hubbard, restituito
attraverso una sintesi che prende in considerazione i passaggi più
controversi della sua ascesa, quelli in cui le contraddizioni tra
pensiero e azione diventano maggiormente evidenti - e qui non si può non
citare l'ipotesi che la cosmogonia su cui si basa il credo di Hubbard
non sarebbe altro che la riformulazione dei racconti di fantascienza da
lui scritti negli anni 30 -, "Going Clear" concentra la sua attenzione
sulle pratiche di coercizione e di violenza psicologica imposte agli
adepti della chiesa, obbligati a versare ingenti cifre di denaro per
raggiungere gli stadi più avanzati di consapevolezza (l'espressione
Going Clear fa riferimento al processo di purificazione spirituale
operato sui fedeli) e tenuti in
riga dalla minaccia di rivelare al mondo
i dettagli più scabrosi delle loro vite private, registrati durante le
sedute terapeutiche e conservati per il momento opportuno.
Dal regista
Paul Haggis, fuoriuscito da Scientology dopo più di trent'anni di
frequentazione ai
vari vari Marty Rathbum e Mike Binder, membri eminenti
della congrega fino al giorno in cui hanno deciso di abbandonarla, a
farla da padrone sono da una parte le testimonianze delle persone a
conoscenza dei fatti; dall'altra, l'assoluta assenza di un
contraddittorio che, seppur giustificato dal rifiuto di intervenire da
parte degli esponenti di Scientology, risulta tanto più determinante
nell'economia di un'opera come "Going Clear" che, per
il fatto di essere
un film a "tesi" avrebbe bisogno di una dialettica che invece è
completamente assente. Specializzato nel documentario
d'inchiesta, Gibney conferma un senso dello spettacolo capace di
trasformare il resoconto del film in una sorta di investigazione
privata, il cui rigore è spesso contaminato da artifici che appartengono
al puro intrattenimento: presenti, sia nell'uso di inserti recitati ad
hoc,
che, alla maniera di un episodio della serie di "X- Files", ( visto il
tema in questione, il riferimento non è poi così azzardato) traducono in
immagini il racconto dei protagonisti; sia, nell'effetto deformante
operato su alcuni dei personaggi più noti tirati in ballo dal film e in
particolare di
Tom Cruise che, privato del suo
cotè
cinematografico, e restituito attraverso inserti d'archivio che lo
ritraggono nel ruolo di gran cerimoniere nei raduni organizzati da
Scientology, appare stranamente sinistro e lontano dalla sua immagine
hollywoodiana.
E qui torniamo al punto di partenza e al paragone con
"Armstrong Lie": perché se è vero che "Going Clear" è altrettanto
dirompente nell'esposizione delle mistificazioni connesse con l'operato
di Scientology, è pur vero che rispetto al lavoro precedente il nuovo
film di Gibney si "limita" a mettere in scena una verità - reale o
presunta che sia - già acclarata e conosciuta, per il fatto di essere
tratta dall'omonimo libro di Lawrence Wright, giornalista e scrittore
premio Pulitzer che ha iniziato a interessarsi a Scientology con un
articolo apparso sul New Yorker. Più che a un
working progress
(com'era stato il film su Armstrong) o un' inchiesta sul campo, "Going
Clear" ci mette di fronte alla messinscena di una sceneggiatura già
pronta e alla necessità di presentare sotto altra forma le parole di un
libro già letto. Insomma, più cinema che documentario, o se vogliamo, un
documentario, costruito con la metodologia dei film di finzione. Ed è
forse questa la ragione di un'operazione che colpisce fino a un certo
punto, e di un titolo, che in qualche modo non riesce ad aggiungere
molto a ciò che conoscevamo.
(pubblicato su ondacinema.it)