Goliarda trae ispirazione dal celebre L’arte della gioia – romanzo pubblicato postumo, rifiutato da più case editrici e poi diventato il più conosciuto dell’autrice – e da Il filo di mezzogiorno, ma appare come un’unica incursione nella vita e nella poetica della Sapienza.
Donna indomita, anticonvenzionale, procace e intelligente, Goliarda Sapienza nacque in una famiglia anarchico-socialista e si trasferì presto a Roma, dove diventò una applaudita attrice, oltre che giornalista e scrittrice. La sua infanzia in Sicilia fu sicuramente diversa da quella delle sue altre coetanee, costellata dalle precoci morti di diversi fratelli, dalla malattia mentale della madre, ma anche libero sia delle regole oscurantiste e dai pregiudizi della Sicilia di inizio secolo, nonché svincolato da clima antifascista imperante.
Lo spettacolo inizia sulle urla di Tina, sorella di Modesta, alter ego letterario dell’autrice, affetta da problemi psichici, probabilmente autistica. Queste urla altissime, che si placano solo quando la madre le è vicina, Goliarda le descrive come terrificanti e spaventose, ma che via via si trasformano in euforiche, gioiose. Sono un canto di espressione della disabile, ed è su quelle note che Goliarda si muove per esprimere il suo carattere ed esplorare il suo eros.
Uno spettacolo intelligente, appassionante e coinvolgente, che parla la stessa lingua della scrittrice cui si ispira. Uno sforzo, ben riuscito, di comprendere una personalità originale e un’artista ancora poco conosciuta.
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