Mi racconta la sua storia: vive con altre nove persone, in tutte le parti del mondo (e della città). Non possiede una casa né una bella stufetta a gas di quelle che noi teniamo a casa. Il suo viso è nero, le nervature che sporgono dagli occhi disegnano nell’aria tristezza e malinconia. E’ piuttosto alto, ma la gentilezza che possiede si trasforma in eleganza ogni volta che fissa i miei occhi; ha una sciarpa gialla, il giaccone è scolorito, da una tasca viene fuori una matassa di fili che probabilmente usa per rattoppare gli abiti. Non mi ha ancora raccontato la parte in cui ritorna dalla sua famiglia e bagna i piedi, il cuore e l’anima nel fiume Gambia. E’ in cerca di una casa, ormai è piuttosto chiaro. Mi ringrazia più volte, eppure ancora non capisco. Una stretta di mano non determina riconoscenza. Oltre il portone aspetta uno dei suoi compagni, che inizialmente, per vergogna, rimane fuori. Pochi minuti dopo appare un grande uomo di carnagione scura, ma sembra provenire dalla Turchia o dal Marocco. Si scambiano qualche parole che io non riesco a decifrare, poi mi stringe la mano e accenna un sorriso. Il nome di quest’uomo non l’ho ancora capito, ma le sue orbite sfrecciavano come meteore. Infine, fissando il cielo, ho pensato alla differente pigmentazione tra ‘noi’ e ‘loro’ (è così che gli occidentali chiamano gli extracomunitari). In quell’istante ricordai la prima volta che mi misi in bocca un pezzo di cioccolato, e sapete, non aveva un sapore così brutto.
Gomez è reale, non è frutto di fantasia. Vive a Palermo, tra i vicoletti della città. Probabilmente, la sua coperta è composta da polimeri che formano un sacco della spazzatura XL. Il colore della sua pelle lo ha aiutato a rimanere al caldo - il freddo, nelle stagioni invernali, si accompagna al bianco.Emanuele Scaduto