Gone Girl: l’amore bugiardo, approfittatore e nichilista di David Fincher

Creato il 16 gennaio 2015 da Wsf

“Con la curiosità di un bambino mi immagino di aprirle il cranio, srotolarle il cervello e frugarci dentro, per catturare i suoi pensieri. A cosa pensi, Amy? Come ti senti? Chi sei veramente? Che cosa ci siamo fatti? Cosa ci faremo?”

Amy è scomparsa: la classica donna bella, bionda, benvoluta da tutti, la “fidanzatina d’America”, non c’è più e il marito non si dispera abbastanza. Non solo era un fedifrago e un fannullone che viveva alle sue spalle ma, invece di disperarsi, sorride alle telecamere. E non c’è niente di più sospetto di un marito che non si dispera. Le donne lo odiano, lo attaccano, evitano il suo sguardo, gli danno dello stronzo; le giornaliste/crociate dei diritti femminili non gli danno pace.

Eppure lui è innocente, dice. Sì, le cose con Amy non andavano bene, anche se erano cominciate alla grande. Erano belli, felici, innamoratissimi e complici. Poi le cose hanno cominciato ad andare male, complice la crisi che li ha trascinati da New York alla placida tranquillità del Missouri; le buone intenzioni si sono perse per strada, e la noia l’uno per l’altra ha pian piano preso il sopravvento.

La noia, il bisogno di separarsi. O il bisogno di NON separarsi, di voler continuare ad essere quello che si era all’inizio e non quello che si è veramente. Mantenere la baldanza della prima sera in cui si conosce l’altro. Quella sicurezza, quella volontà – mantenerla per sempre, a discapito di tutto il resto. Separarsi da quello che dell’altro non piace e aggrapparsi disperatamente a quello che si era all’inizio. Troppo facile apparire brillanti e belli, troppo comodo essere qualcosa che l’altro possa volere per farsi desiderare – perché poi, una volta conquistata la preda, è tutta una strada in discesa. E ci si annoia, ci si abbruttisce, la maschera pian piano scivola via, e quello che c’è sotto potrebbe non essere qualcosa che piace all’altro. Eppure la sua approvazione, che all’inizio sembrava così importante, ora quasi non conta niente. Si sta insieme, ormai, e da quello stare insieme non c’è scampo.

Eppure c’è qualcosa – è troppo semplice accusare lui e vedere lei come la povera vittima. La soluzione è troppo a portata di mano, troppo logico, troppo semplice. Troppo, davvero, per crederci. Le prove contro il marito sono schiaccianti. E nel diario di Amy non c’è spazio per altri dubbi: “quest’uomo”, scriveva Amy, “potrebbe uccidermi”.
Gone Girl comincia bene, ma non lo si capisce subito. All’inizio sembra noioso, il punto non sembra esserci. È stato lui, pensiamo, è stato davvero lui. Per i primi dieci, quindici minuti. Poi le prove della sua colpevolezza cominciano a uscire una dopo l’altra, la crociata femminista vuole tagliargli la testa e metterla su un palo come monito per quei porci degli uomini, e qualcosa scatta in noi. David Fincher, che con “Gone Girl” potrebbe aver firmato il capolavoro di una carriera, fa scattare qualcosa in noi che capiamo subito, senza neanche accorgercene, che ci fa capire qualcosa non va davvero. Non è stato davvero lui, e lo sappiamo. È troppo perfetto, troppo per essere vero. Così come la loro storia – era troppo perfetta per essere vera. Bisognava fingersi perfetti per esserlo, e bisogna farlo fino alla fine… allora, però, la finzione non è più per la perfezione: è per la sopravvivenza.

Non voglio scrivere nulla di specifico per non rovinare il film a chi non lo ha ancora visto. Basti dirvi che Gone Girl è un film davvero fuori dagli schemi, crudele e sottile, teso come una corda di violino e tagliente come un rasoio; rimane costantemente in bilico fra un becero femminismo patinato da copertina, dipinto come ipocrita e rivoltante per le crociate senza senso a cui si aggrappa quando si tratta di una femmina in pericolo, e un mondo di maschi che si sforza disperatamente di fare del suo meglio ma ne esce comunque sconfitto. Molti hanno definito questo film “femminista”, ma io non sono d’accordo; non ha senso dare un’etichetta di genere a questa storia. È un film in cui le donne calpestano le donne e si fanno sottomettere agli uomini, o li aggirano per il proprio volere giocando la parte della vittima e del carnefice.

È un film pieno di manipolazione e falsità coperta da una patina di buona educazione e rispetto che nessuno prova davvero per l’altro. Rovinarlo con assurde definizioni politicamente corrette mi sembra semplicemente inutile.

Girato in maniera eccellente, interpretato da un bravissimo Ben Affleck ed una meravigliosa Rosamund Pike, che per la sua interpretazione non ha vinto il Golden Globe (ma speriamo in uno strameritato Oscar) e perfino doppiato bene (cosa che noi italiani non possiamo sempre dire), questo film si può ancora trovare in qualche sala cinematografica e noi ve lo diciamo: vale davvero la pena di andarlo a vedere.

Daniela Montella


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