Gone to Yoknapatawpha

Creato il 24 maggio 2013 da Francosenia

William Faulkner è debitore, per ogni paragrafo che abbia mai scritto, alla Bibbia e all'alcol. Un'alleanza che si dimostrò oltremodo efficace. Anche il protagonista di Santuario, Popeye, lo scoprì in un bar, mentre si faceva un bicchiere insieme ad un amico. Avvenne la notte in cui una giovane donna gli si avvicinò per raccontargli l'incredibile storia di un impotente, un bullo che viveva nel suo villaggio e che violentava impunemente le ragazze, servendosi di ogni tipo di oggetto. Soprannominato Popeye (occhi sporgenti), era proprio come lo descrive Faulkner, "un ometto piccolo, con un viso cadaverico e capelli neri e occhi come se fossero senza vita, e un naso aquilino, delicato e senza il mento".
Insomma, questo scrittore del sud, dai baffi sottili e dalle maniere affettate, si ubriacava ogni notte, subito dopo aver finito di scrivere; abitudine cui mancò una sola volta, il giorno in cui sua figlia Alabama morì, appena un'ora dopo esser nata. Beveva finché non cadeva privo di sensi, alla ricerca di una sbornia perenne che lo aiutasse a creare, e forse per questo tutte le sue storie si sviluppano a partire da immagini quasi folli che, anziché cedere ad una logica narrativa, innescano eventi sempre peggiori, sempre più orribili, sempre più immersi in quei vapori che mescolano l'alcol alla luce abbacinante del sud, e che cercano la catarsi per mezzo della letteratura, e viceversa. Le mutandine intrise di fango di una bambina, che pendono dai rami di un albero, l'immagine di una donna incinta inseguita lungo un sentiero, un subnormale che gioca davanti ad una staccionata ... fotografie di immagini prive di qualsiasi logica, selvagge, che servono da punto di partenza quasi onirico, insensato, per le sue storie scioccanti.
Ne L'Urlo e il Furore riuscì a raccontare, fra le altre cose, la subnormalità, dando la voce ad un demente e provocando nel lettore uno strano fremito mettendolo faccia a faccia con la follia. Dimostrandosi così, a pieno titolo, parte di quella Generazione Perduta, capace di spezzare la realtà nei suoi vari piani (che, nel suo caso, sono voci, sempre voci); e senza che "Gertrude Stein gli accarezzasse la schiena"!
Perché Faulkner andò a Parigi, ma non se ne innamorò, recando con sé, come unica prova, una folta barba francesizzante. Disprezzò gli ambienti letterari, ossessionato com'era dalla sua propria caricatura di uomo rurale e rispettabile che sognava di ricostruire la sua magione: Rowan Oak, ad Oxford, Mississippi. Voleva tornare a quei tempi di splendore in cui il suo bisnonno, il colonnello William Clark Falkner, scrittore, banchiere e proprietario terriero, faceva delle lunghe passeggiate a cavallo, e gli abitanti del luogo si levavano il cappello, al suo passaggio.
Preferì isolarsi per poter rileggere, anno dopo anno, "Don Chisciotte" e, alla fine, si spense, ubriaco perso, quando ormai non era neanche più in grado di percorrere, nell'arco dello stesso giorno, tutti gli ettari di terra che, ossessivamente, era riuscito a rimettere insieme, nel suo Mississippi. Mori di un attacco di cuore e con la sua morte chiuse per sempre - chiudendovisi dentro - quel cerchio che per tutta la sua vita non aveva mai smesso di continuare a tracciare intorno alla contea di Yoknapatawpha. Un mondo immaginario.


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