di Cinzia Carotti -
7 settembre 2014
Regia:George Clooney
Cast:David Strathairn, Frank Langella, Robert Downey Jr. Patricia Clarkson, George Clooney.
Genere: Drammatico
99 min
2005
Di Cinzia Carotti.
“La colpa, caro Bruto, non è nelle nostre stelle, ma in noi stessi. Buonanotte, e buona fortuna.”
(Edward R. Murrow - Citazione dal Giulio Cesare di Shakespeare al termine di una puntata di See it now)
Il film parla della storia vera del giornalista Edward R. Murrow che, nel 1953, mentre la televisione sta iniziando a imporsi all’attenzione del pubblico, conduce il notiziario See It Now sulla CBS e il talk-show Person to Person di grande successo. Murrow è della vecchia scuola, non si lascia incatare dai facili profitti e non crede in una tv informativa che si regge sugli sponsor e ammicca per accattivarsi la politica; figuriamoci il pubblico. Veste allora i panni del cronista trasformando lo spettacolo in una inchiesta contro il senatore del Wisconsin Joseph McCarthy che caccia dalla marina un presunto collaboratore dei comunisti.
Clooney è attentissimo all’aspetto visivo e al contenuto di questo prodotto forte e raffinato. L’argomento scelto è di quelli delicati e spesso dibattuti: le prime battaglie del giornalismo televisivo, agli inizi degli anni Cinquanta, durante l’epoca del maccartismo. La forma è molto sofisticata, con un bianco e nero di grande effetto perfettamente in linea con la trovata alla base del film di fare interagire la finzione con la realtà. Il senatore Joseph McCarthy, presidente della Commissione per le attività antiamericane e responsabile delle cosiddette “liste nere” contenenti i nomi di simpatizzanti comunisti, è infatti interpretato dal vero Joseph McCarthy, attraverso spezzoni di filmati dell’epoca. Si affida ai documenti e ai materiali di repertorio, primi fra tutti le trasmissioni della CBS compresi gli spezzoni del programma See it now e i frammenti registrati degli interrogatori o delle interviste dell’epoca.
L’unico difetto di questo meraviglioso bianco e nero, fatto di primi piani e sequenze con ottima sceneggiatura, è quello di mettere troppa carne sul piatto finendo per restare in superficie del problema. La coscienza, è vero, può essere manipolata tramite i mass media, ma è un errore comune credere che si possa “convertire” lo spettatore. Si può condizionarne l’umore, trasmettergli una sensazione di terrore (splendido il dialogo in cui il clima di polizia repressiva congestiona le tavole rotonde della redazione “andiamo avanti perché il terrore è arrivato anche qui da noi”) ma non lo si può convincere di una tesi. E questo film cade in questo errore. Lo spazio che serviva per caratterizzare i personaggi è andato in fumo per avvalorare la tesi del combattimento contro l’asservimento mediatico, i diritti individuali, e la libertà di stampa. Forse andava espressa, con più coraggio, l’idea che l’azione, ogni azione, comporta delle profonde responsabilità e non è solo la perdita di uno sponsor, ma comporta anche la riuscita o il fallimento di un lavoro, l’inchiesta, il sacrificio personale e famigliare. Tutto questo resta sullo sfondo ma non penetra nella convinzione dello spettatore troppo concentrato a chiedersi se davvero il senatore McCarthy non avesse ragione di proteggere la nazione (o forse solo se stesso) dalle spie comuniste – d’altro canto la guerra fredda era in pieno svolgimento.
Resta un ottimo film, con dialoghi costruiti con profonda passione e innalzati dal carisma di David Strathairn vincitore della Coppa Volpi per la miglior interpretazione a Venezia 2005 e il Premio Osella per la migliore sceneggiatura a Clooney e Grant Heslov.
Come ricorda Strathairn “terremo a mente che non discendiamo da uomini timorosi della libertà” è un film che mette in luce non solo i fallimenti della generazione precedente, ma anche la passione e la fredda lucidità con cui ha difeso ciò che per noi sono dati scontati e inalienabili diritti.
Sicuramente questo film vale la pena di essere visto anche solo per la sensazione di precarietà che regala in un mondo Occidentale ormai convinto che lo stile di vita adottato sia immune da future guerre ed ideologie (anche intestine) che ne minacceranno il funzionamento. Se la libertà è un bene prezioso sta diventando sempre più difficile proteggerla entro i confini nazionali ed è questo il vero problema che il film avrebbe dovuto affrontare con più incisività.
Preziosa la colonna sonora jazz che è valso un Grammy Award for Best Jazz Vocal Album a Dianne Reeves.
★★★1/2